“No tinc por” significa in catalano non ho paura e chi è algherese conosce benissimo la locuzione, come quando meravigliati diciamo, sempre in algherese-catalano “chi por”, che paura. Lo slogan è stato usato dalla gente di Barcellona, altro concetto universale per dire che l’attentato del 17 agosto non deve generare paura e dirlo a gran voce in catalano e non in castigliano significa che quella città, seppure miscellanea di popoli e di razze, ha un suo grandissimo orgoglio e una sua bellissima unicità. Però poi bisogna vedere se davvero non abbiamo paura, se davvero riusciamo a camminare nelle nostre vie, piazze senza avere paura. Gli strumenti che hanno utilizzato i terroristi per seminare morte sono quelli che solitamente vediamo tutti i giorni sula nostre strade. Li consideriamo normali, come un’automobile, una moto, una bicicletta. Tutto dannatamente normale e in linea con la nostra frenetica civiltà. “No tinc por” è un urlo contro questo modo di affettare il mondo e la cultura, in una città dove le parole hanno un peso specifico importante e in una città dove tutti sono passati o ci vorrebbero passare, come ha scritto Alicia Giménez Bartlett su Repubblica. Perché Barcellona è il punto di partenza e di arrivo, è un porto dove si incrociano molte navi e dove tutto è molto più vulnerabile. “No tinc por” è la volontà ferrea a non mollare, a provare una mediazione con dei giovani che nulla conoscono della bellezza e del dialogo. C’è molta rabbia sopita, dovuta a certe scelte scellerate di un occidente che voleva “esportare la democrazia” come ha ben ricordato Tahar Ben Jelloun su Repubblica. “No tinc por” è la speranza che tutto debba essere riconsiderato, che l’odio non può costringerci a chiuderci dentro le nostre case, non può farci abbandonare quella via, quella rambla bellissima e dolcissima: “l’unica strada al mondo che non vorresti finisse mai” come ricorda Federico Garcia Lorca. E’ vero, no tinc por. Io non ho paura. Ma non è semplice, non è mai semplice convivere con il mondo, ma è l’unica cosa che possiamo e dobbiamo fare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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