Ieri ho visto uno spettacolo bellissimo di Nicola Piovani e oggi il personaggio del giorno è lui. Il concerto, presentato a La Maddalena a chiusura dell’edizione invernale della “Valigia dell’Attore”, si intitola “La musica è pericolosa”. Il titolo nasce dalle chiacchierato tra Piovani e Fellini, che si chiedeva come facesse la musica, che non ha parole, a scatenare emozioni così violente. Si chiedeva come fa a destabilizzare un’anima, un intelletto, senza bisogno di significati espliciti ma solo combinando semplici suoni. Piovani è un narratore straordinario. Fa belle musiche, le esegue con una piccola orchestra di altissimo livello, ma soprattutto racconta, collega, sorprende e commuove. Ieri ci sono passati davanti cinquant’anni di Cinema e di cultura italiana e abbiamo scoperto che Fellini era un testardo scanzonato, che il refrain del ‘Bombarolo’ nasce dalle campane di un monastero, che Mastroianni non andava a tempo. Dopo mesi di un vago sapore amaro presente nell’aria, dopo settimane di rabbiose discussioni sul quasi nulla, ieri gli spettatori del Teatro Longobardo si sono trovati in una bolla di “non esistenza”. Piovani ha chiuso infatti richiamando il concetto che se una cosa non passa in TV (o sui social) non esiste, e si è detto felice di non essere esistito per due ore, di aver trascorso due ore di non esistenza, suonando e parlando di musica col piccolo pubblico di La Maddalena. La vampata di calore che si è sprigionata a fine spettacolo ha sorpreso anche lui, e si è visto chiaramente.
Io, per tutta la sera, ho aspettato con ansia un pezzo che non arrivava, e il programma si è chiuso senza che Piovani lo eseguisse. Il pezzo è “Abbiamo vinto”, il brano che accompagna l’uscita dal campo di sterminio nel film “La Vita è bella”. Dopo la prima standing ovation, dopo che tutti avevamo ripreso posizione per il primo bis, Piovani ha ripreso a suonare in un teatro quasi del tutto buio. Poche note di pianoforte. Era “Abbiamo vinto”. È stato il momento più commovente, per tutti. Ho visto lacrime, ieri, ed erano anni che non mi capitava di vedere gli spettatori di un concerto commuoversi a quel modo.
E anche alla fine, quando siamo andati via, c’era in platea una strana frenesia da contatto umano. Tutti siamo usciti lentamente, perché tutti ci siamo trattenuti a parlare, ad abbracciarci, a toccarci, a guardarci negli occhi con i visi rossi, traboccanti di vita e di sorriso. Una cosa incredibile, che non ricordavo da chissà quanto tempo.
Ce ne siamo andati via leggeri, e questi tempi pesanti mi sono sembrati più leggeri anche loro.
La musica e la bellezza ieri hanno fatto un ottimo lavoro, e penso che, sì, ieri, tutti, tutti quelli che c’erano e tutti quelli che sarebbero comunque capaci di innamorarsi di una cosa così, abbiamo vinto.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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