di Maria Dore
Gli inizi, il successo, la caduta. Sono solitamente queste le tappe attorno alle quali i film biografici sono costruiti. E, lo ammetto, è questo tipo di schema che mi tiene lontana da questo tipo di opere.
Ci sono però le eccezioni. Il film su Nico dei Velvet Underground è una di queste. Non solo perché è lei e perché il destino volle che proprio lei diventasse l’icona femminile di quello che secondo molti è l’album più importante della storia della musica. Ma anche per come la storia di un personaggio del genere, appartenuta ad un’epoca unica, è portata sullo schermo da una regista italiana, Susanna Nicchiarelli. Se non il nome non vi dice molto, ricorderete magari un piccolo caso cinematografico di qualche anno fa, il suo “Cosmonauta”. La Nicchiarelli ha anche tratto un film da uno dei libri di Veltroni, “La scoperta dell’alba”. Per questo, la perdoniamo. La Nico di cui la Nicchiarelli ci parla in “Nico, 1988” non è più la bellissima e mitica del disco con la banana. È Christa Päffgen (questo il suo vero nome) negli ultimi due anni della sua vita. Non vedrete quindi nessun attore impersonare Andy Warhol o Lou Reed, gente che non puoi imitare senza rischiare la blasfemia, il ridicolo. E, per questo, la Nicchiarelli la promuoviamo. Sulla stessa linea possiamo collocare un’altra sua scelta, quella di far interpretare Nico ad un’attrice che fisicamente non le somiglia per nulla, la danese Trine Dyrholm. Alcuni momenti della sua interpretazione (su tutti quelli in cui con la sua voce canta le canzoni di Nico e dei Velvet: provate a stare fermi sulla sedia durante la sequenza di My heart is empty suonata clandestinamente in un locale della Praga comunista) riescono a far distrarre dall’orrenda e triste realtà degli ultimi live: alberghi e locali di periferia in giro per l’Europa, la sigaretta costantemente accesa e aspirata tra un verso e l’altro, gli occhi spiritati, i capelli tinti di nero per lasciarsi alle spalle l’icona bionda dei tempi dei Velvet Underground. “Sono abbastanza brutta? Bene, non ero felice quando ero bella”, dice ai suoi assistenti poco prima di iniettarsi una dose di eroina e salire sul palco. E, intima: “Non chiamatemi Nico”. Ma, ogni tanto, non si può non cantare All tomorrow’s parties, anche se tutto è quasi finito. E anche perché all’essere stati un stati un mito, ci si deve un po’ rassegnare.
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