Io, Nichi Vendola l’ho conosciuto nel 1993. Lui era un deputato al Parlamento e faceva parte della Commissione Giustizia alla Camera. Erano anni duri, intensi, terribili. Erano gli anni in cui la mafia aveva deciso di schiaffeggiare in maniera terribile lo Stato. Erano gli anni di Pianosa e Asinara con le diramazioni Agrippa e Fornelli. Con Nichi Vendola ci incontrammo all’Asinara, davanti al cancello blu di Fornelli. La Commissione aveva deciso di ascoltare quei detenuti che, chiusi nelle due sezioni, erano stati sottoposti al carcere duro, quello previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. I mafiosi e i camorristi si lamentavano di un trattamento durissimo e del fatto che all’Asinara non vi era l’acqua potabile. “Questo è vergognoso”, mi disse Vendola. “Certo, risposi. Il problema è che l’acqua non è potabile in nessuna parte dell’isola. Per i detenuti e per chi ci lavora”. Mi guardò con severità e disse sottovoce: “Dobbiamo parlare”. E parlammo. Gli confessai che avevo letto le sue poesie, ero al corrente della suo impegno politico e lui fu molto attento e puntuale nel rispondere. Discutemmo a lungo di diritti, di garantismo, di mafia, di camorra e di libertà. Ci teneva moltissimo a quella parola Vendola e anche io ero molto attratto dal concetto che, in un carcere, occorre ricordarlo, ha un peso specifico molto importante. Ci salutammo con la certezza che non ci saremmo più rivisti e con la consapevolezza che avevamo molti punti in comune, soprattutto sul concetto di libertà. In questi giorni Nichi Vendola, dopo un periodo di assoluto silenzio, è tornato alla ribalta e non per il suo impegno politico e neppure per una diatriba con qualche collega di partito che, tra l’altro non c’è più. Lui, Nichi, è diventato padre. Il suo compagno ha prestato il suo “seme” ad una donna” in affitto” che è stata quindi fecondata e poi ha consegnato il bambino al padre naturale ed acquisito: Nichi, appunto. Il problema è che Vendola questa scelta l’ha fatta in piena libertà con il consenso del suo compagno. Lo scandalo, in fondo è solo questo: maternità surrogata o, come dicono altri, l’utero in affitto utilizzato da due omosessuali. Io, lo dico subito sono un romantico terribile e quindi queste unioni a “freddo” le capisco poco e non le comprendo anche per le coppie eterosessuali. Però quel giorno, a Fornelli, Vendola discusse con me per ore del rispetto anche degli errori, dell’utilizzare sempre un atteggiamento di ascolto nei confronti dell’avversario, nel saper sempre soppesare le scelte, anche sbagliate, che si possono fare. “A volte,” mi disse quel lontano giorno del 1993, “occorre saper sospendere il giudizio”. Ecco, io non riesco a capire se Vendola ha ragione o ha torto, se il suo è un gesto da radical-chic viziato, se c’è davvero amore dietro questa scelta. Non riesco. Sospendo il giudizio e vi lascio con una poesia di Nichi Vendola: “Siamo belli perché siamo pieni di difetti, non perché siamo onnipotenti, ma perché siamo fragili, perché ci tremano le gambe, perché siamo goffi, perché abbiamo paura, perché abbiamo bisogno d’amore, per questo siamo belli.” E’ vero, la bellezza raccoglie tutto. Però, su questa storia, io mi prendo la libertà di dissentire. E sono sicuro che Vendola, quel Vendola conosciuto nel 1993 all’Asinara, sarà assolutamente d’accordo con me.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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