“Da settimane sembra che sia scesa la sera”, ha detto Papa Francesco davanti ad una Piazza San Pietro desolatamente vuota e quasi lontana tra l’acqua e il silenzio. Quel silenzio che, ha continuato il Papa, “si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi”. Pioveva, come se il Dio chiamato da Bergoglio decidesse di versare lacrime dentro un universo attonito e chiuso nelle proprie abitazioni. Quel Dio che, se ha parlato, nessuno a quanto pare lo ha ascoltato. “Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato” ha concluso Papa Francesco. Il buio ha avvolto quelle parole alte, forti, davvero vicino a quel Dio che aveva regalato la rotta a dei marinai che avevano deciso di fare di testa propria. Forse avevamo bisogno di questo silenzio, di quel sagrato vuoto e di quel vecchio vestito di bianco che ci ricordava la nostra stoltezza. Avevamo bisogno di un silenzio che penetrasse dentro le nostre coscienze e ci facesse riflettere sull’altra frase pronunciata da Francesco: “nessuno si salva da solo”. E’ vero, abbiamo percorso le nostre strade senza dare troppo peso ai segnali che suggerivano di rallentare, di osservare ciò che stavamo facendo in nome del progresso; quei segnali ci suggerivano di rallentare, di osservare la rotta e di non fidarci di un semplice navigatore. Dovevamo guardare le stelle. Loro, almeno, non hanno mai tradito i marinai che le hanno osservate per millenni e con loro – e grazie a loro – sono riusciti a correggere la loro rotta. Noi avevamo bisogno di un uomo che ci ricordasse che non potevamo rimanere sani in un mondo malato. Un mondo che abbiamo costruito – e modellato, e distrutto – giorno per giorno. Avevamo bisogno di queste parole per sederci su quel sagrato gonfio di acqua e silenzio, avevamo bisogno di sentire le parole che nessun altro potente ha mai urlato con la forza che questo Papa è riuscito a fare: “Nessuno si salva da solo”. Non lo hanno capito, per molti giorni gli italiani, non lo hanno capito gli Europei e gli americani. Continuano a non capirlo alcuni capi di Stato, continuano a intravvedere una soluzione che porti questo mondo a ripartire. Non dalla parte del cuore, figuriamoci. Si vuole soltanto la partenza di ciò che avevamo lasciato e che, ancora, ci appare come unico modo di sopravvivere: il profitto. Nessuno si salva da solo. Ce lo hanno ricordato i cubani e gli albanesi che hanno inviato i loro medici in Italia e tutti a commuoverci, a dire che questa si chiama solidarietà. Era la stessa che si aspettavano e si aspettano gli ultimi della terra adesso che tutto il mondo rischia di diventare penultimo. Nessuno si salva da solo nelle strade delle opportunità. Dovremo ricominciare e ripartire ma non potremo non considerare quella piazza vuota e piangente, quella piazza fredda e solitaria, quella piazza dove un uomo ha implorato al mondo di ascoltare il rumore di quel silenzio, di ascoltare il linguaggio degli ultimi, di chi aspetta un tozzo di pane e un sorriso. Nessuno si salva da solo. Cominciamo ad impararlo a memoria questo piccolo concetto e ricordiamoci di metterlo in pratica quando tutto questo non ci sarà, quando quella piazza e le piazze del mondo saranno disposte al fragoroso rumore della vita. Ricordiamocelo e, forse, cominceremo a ripartire nel modo più bello. E saremo più forti.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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