Il 1 febbraio, a Cagliari, nella sala dell’albergo Italia adibita a galleria d’arte, alle ore 18, si aprirà la personale del pittore sassarese Giovanni Lubino, curata da Rita Grauso. La mostra rimarrà aperta fino al 31 marzo. La mostra si presta ad una serie di considerazioni sul linguaggio dell’arte. Per dirla con Marcuse, l’arte ha un linguaggio che le è proprio e solo con esso fa luce sulla realtà. Ciò sta a significare che ha una dimensione di conferma e di negazione che non può essere riferita al processo sociale della produzione. Nei suoi elementi fondamentali colore, disegno, suono ecc. l’arte dipende dal materiale culturale che le è stato trasmesso e che condivide con la società. Ma la funzione dell’arte è che, pur facendo parte della realtà, di fatto può negarla, perché nell’arte la forma diviene contenuto e viceversa. Il prezzo pagato dall’artista è quello di esprimere come vera realtà quello che gli altri chiamano forma. Un dipinto diventa opera d’arte grazie alla forma contenuta in sé che sublima la materia. Con ciò si vuole affermare che pur partendo dalla realtà diventa qualcosa di qualitativamente diverso, diventa parte di un’altra realtà. L’arte in effetti richiede la mediazione fra natura e spirito. La produzione della forma estetica obbedisce alla legge del bello e la dialettica di affermazione e negazione, di consolazione e di dolore appartiene alla dialettica del bello, che fa parte della sfera dell’Eros, cioè della vita. L’opera d’arte usa un linguaggio liberatorio ed evoca immagini di libertà. Dinanzi a un quadro come la “Panchina” vi è la rappresentazione di un fatto drammatico. La scomparsa di una persona giovane, che era solita sedersi sulla panchina. Questa assenza presenza rappresenta uno dei momenti più alti della metafora che il pittore vuole comunicare a chi assiste al dipinto. Il vuoto non è altro che la morte, che si sostituisce alla vita attraverso una gamma di colori lividi e ci mostra la semplificazione formale che dà una forza drammatica alla composizione. In essa cogliamo quel rapporto complesso della psiche umana tra Eros e Thanatos che è alla base della verità dell’arte e che questo quadro evidenzia con una chiarezza incontrovertibile il messaggio che il pittore ci vuole comunicare. Altrettanto dicasi dei suoi paesaggi, legati indissolubilmente alla sua cultura identitaria in cui il lato non descrittivo è l’aspetto più interessante e più profondo del suo dipingere. Si coglie la scelta di liberarsi dalle regole accademiche, per lasciare più spazio alla fantasia dello spettatore. L’equilibrio dei suoi paesaggi è dettato dalla rinuncia di rappresentare il paesaggio così come lo si vede, per reinterpretarlo secondo una visione antinaturalistica. Ecco allora che la dissoluzione dei contorni attraverso l’uso della luce, anziché creare confusione, origina un nuovo ordine in cui i colori intensi e forti originano composizioni nitide. Nei suoi quadri l’apparire è negato per lasciare spazio all’essenza di ciò che egli intende, con onestà intellettuale, come pittura.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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