“Il dottor Zivago”, primo e unico romanzo di Boris Pasternak, deve la sua celebrità a un editore italiano. Fu Gian Giacomo Feltrinelli, nel 1957, a pubblicare il libro in Italia, sottraendolo alla feroce censura del regime sovietico e spingendo il suo autore verso il premio Nobel per la letteratura.
La colpa di Boris era quella di aver descritto, nel suo romanzo, la realtà sovietica per ciò che era, in un memorabile spaccato che copre il periodo tra le due guerre mondiali. Fu il suo trionfo e la sua rovina. Mai ebbe modo di godere del successo. Perseguitato dal Kgb, fu costretto a rinunciare a ritirare il premio, pena l’impossibilità di rimettere piede in Unione sovietica dove morirà poco dopo, in povertà e malato di cancro, il 30 maggio del 1960.
Occorrerà attendere il 1989 per il ritiro del premio Nobel, complice la perestrojka di Gorbaciov. E sarà Evgenij, figlio di Boris, a recarsi a Stoccolma in nome del padre. Trentuno anni dopo.
In punto di morte, Boris Pasternak pronunciò queste parole: “Non sento bene. E c’è nebbia davanti a me. Ma se ne andrà, vero? Non dimenticate di aprire la finestra domani”.
Il domani sarebbe arrivato. Tardi, ma sarebbe arrivato.
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