“I campioni non si fanno nelle palestre. I campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo: un desiderio, un sogno, una visione”.Ho utilizzato questa frase per anni, in molti corsi di formazione. Era di Muhammad Alì, il nuovo nome di Cassius Clay. Di professione pugile, ma non solo che oggi, 17 gennaio, avrebbe compiuto 80 anni. Provate a rileggerla quella frase e troverete tutta la bellezza del mondo, tutta la forza della vita, tutta l’iconografia di un eroe.Che non è stato costruito da nessuno e per nessuno. Che non ha mai rinnegato di essere “negro” ma ha rinnegato il modo perverso di chi non lo rispettava.C’è dentro tutta la voglia di esserci, dal profondo.E’ una frase che porta lontano, che mischia il desiderio con il sogno, con la visione.Questo era Muhammad Alì, questo ha rappresentato e questo è stato per me: la velocità di un pugno, la lotta e l’amore per lo sport, le parole che ne hanno creato un mito.Per lui niente era impossibile perchè per lui impossibile era solo un’opinione. Impossibile non era una regola e non era una sfida, perchè impossibile per Muhammad Ali non era per sempre.Lui era la sfida, vera.Come a Manila, nel 1975, con il match finale con Joe Frazer, il suo avversario antipatico.Non si prendevano, non si piacevano. Ma si rispettavano.Nel 1971 vinse Frazer e nel 1973 Alì.Ma a Manila era un’altra cosa.Un match che divenne leggenda.Sopra quel ring passò di tutto: desiderio, sogno, visione, sfida, cattiveria, lotta, morte.Quella notte, nel 1975, Alì vinse per abbandono dell’avversario, al quattordicesimo round. Quasi alla fine. Ma ammise, da grande sportivo leale, che probabilmente stava per mollare anche lui. Fu uno scontro vinto ma non tanto, perso ma non troppo. Io ero lì, incollato alla televisione, ad osservare un mito gareggiare.Alì non era umile e sapeva di essere grande, di essere un’icona.Sapeva che la vita la dovevi giocare sempre e comunque: “Se non ti assumi dei rischi non otterrai mai niente”.Sapeva avere visioni e aveva le idee chiare su chi fossero i buoni e chi, invece i cattivi: stava dalla parte dei “negri”. Li chiamava così, come il personaggio gay e nero di Joe Lansdale. Lui che aveva preso migliaia di pugni in faccia per soldi, conosceva benissimo la fine di molti ragazzi di colore uccisi a colpi di pistola e da coltellate senza aver mai incassato un soldo.Non andò in Vietnam, fu il suo gran rifiuto: “Non ho mai litigato con questi Vietcong. I veri nemici della mia gente sono qui”.Ecco chi chi era Muhammad Alì.Un grande sportivo, forse il più grande e leggiadro pugile dell’era moderna. Uno che ha provato a sconfiggere la malattia, che ha provato a volare come una farfalla e pungere come un’ape.Uno che la vita l’ha combattuta, l’ha giocata e ha perduto solo qualche round.Grazie ragazzo. Grazie davvero.Muhammad Alì: per me, il più grande. Auguri per i tuoi 80 anni. Perchè, per me, sarai sempre su quel ring a giocartela con la vita.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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