E’ morto Salvatore Usala, da anni malato di Sla, sclerosi laterale amiotrofica, una serie di parole cattive e incomprensibili. E’ morto Achille, colpito al tallone. Guerriero forte e granitico, con occhi che erano divenuti voce e fierezza intorno. E’ morto Garibaldi, eroe dei due mondi, capace di unire le forze contro una malattia bastarda, cattiva, terribile. E’ morto un grande uomo che amava correre e giocare al pallone. Josy, sua moglie, gli ha augurato di poter giocare una bellissima partita di calcio, dovunque egli si trovi. Dovunque. In qualsiasi luogo. Salvatore Usala era la voce di chi non aveva voce. Era la lotta vera, chiara, risoluta. Ricordo una delle sue ultime battaglie quelle per il programma “ritornare a casa” dove era previsto un accompagnamento per i malati difficili, il calore e l’affetto della propria abitazione, dei propri affetti. Un diritto inalienabile, infinito, una lotta sacrosanta che si snodava tra le tante promesse degli assessorati, dei ministeri, tra i tanti “vedremo” di una politica sempre in prima linea per cavalcare la sofferenza ma che poi, una volta conclusa la passerella, velocissima nel dimenticare le promesse. Salvatore Usala era la parola senza verbo, il silenzio che diventava impegno serio, chiaro, senza fronzoli. Sempre dalla parte di chi non poteva essere autosufficiente. Lo sciopero della fame era il suo unico urlo contro un cielo sordo e distratto. Era riuscito a catalizzare l’attenzione dei ministri e della giunta regionale. Era rispettato Usala. Perché sapeva essere uomo come pochi. Era sempre in prima linea a denunciare i silenzi di chi dimenticava molto velocemente le patologie gravemente invalidanti. Aveva osservato con una certa speranza quella gara di solidarietà dove molti, anche il premier Matteo Renzi, si erano gettati un secchio d’acqua fredda. Inutilmente. Salvatore Usala non c’è più. Ci ha insegnato a credere che una vita vale la pena di essere vissuta se si ha un ideale. Ecco, fermiamoci tutti un attimo. Prendiamo metaforicamente in mano quel cartellone con tutte le lettere dell’alfabeto che Francesco utilizzava per parlare con noi – muovendo solo gli occhi – e scriviamo senza produrre nessun rumore: grazie di esserci stato.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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