Per me il Natale è una festa stronza. Al netto di pochi fedeli che ne vivono con mistica intensità il vero spirito, per molti altri non è che l’occasione inevitabile per acuire stati d’animo ai limiti della depressione. Ci sono sensazioni che non permettono di essere scritte né raccontate, ma smentitemi se avete coraggio. Contradditemi quando affermo che a Natale chi è solo si sente ancora più solo, chi è povero si rende impietosamente conto della propria miseria e chi ha perso qualcuno ne avverte la nostalgia in maniera quasi dolorosa. Le ferite trascorse, ormai limitrofe della nostra vita, collocate ai margini del passato che trasmettevano segnali astiosi, come bestie selvagge, e che avevamo spinto in un angolo perché smettessero di farci del male col loro latrato, tirano fuori gli artigli e saltano fuori con prepotenza la notte della vigilia o subito dopo il pranzo di Natale.
Ma noi, incuranti di ciò, indossiamo un sorriso benevolo e ci prepariamo ad affrontare estenuanti maratone alimentari che ci schiudono paradisi calorici e vanificano mesi di dieta e palestra. Guardiamo con occhio indulgente i nostri parenti anziani e, per una sera, facciamo finta che i loro difetti non ci infastidiscano perché potrebbe essere l’ultimo Natale insieme. E invece quei tratti aspri del carattere ci irritano come al solito e più di sempre. Chi è single, vedendo i cugini con famigliola felice, maledirà il proprio stato civile. Quell’anarchia, tanto cara nel quotidiano, a Natale diventa un peso. Chi è sposato, nell’osservare l’anarchia dei cugini single, maledirà passeggini e mutuo trentennale e soffocherà, violentandosi, l’irrefrenabile voglia di mandare tutti a fanculo. Emergono insospettabili cicatrici liberate da polvere, ragnatele ed esposte all’aria per scongiurare il rischio che proseguano a suppurare per tutta la vita. Ma poi arriva il momento del brindisi e tutto s’appiana. Salta il tappo dello spumante. Si mette lo zucchero a velo nel pandoro. Si mangia e si beve senza rimorso. Con buona pace dei nostri piccoli e grandi dolori, riesumati per le feste e nascosti da sorrisi di circostanza. Ipocritamente celati perfino a noi stessi perché, suvvia, è Natale.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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