Il desiderio di incontrare uno dei maggiori protagonisti delle intricate vicende della riscoperta dei giganti di Monte Prama, si materializza grazie ad una comune amica e alla disponibilità del Professore Gaetano Ranieri, ordinario di Geofisica Applicata dell’Università di Cagliari, fresco di pensione, in un grazioso locale di Castello, proprio mentre si accendono le luci del tramonto di questo caldo inverno cagliaritano. La storia delle statue di Monte Prama ha suscitato un mare di polemiche per le vicende legate alla loro scoperta e conservazione. Considerate unanimemente, ormai, come una delle più importanti scoperte della storia dell’archeologia del Mediterraneo, furono riportate alla luce da due contadini nel marzo del 1974; i reperti, tra cui le famose statue “giganti”, furono scavati e analizzati da Bedini, Tronchetti, Lilliu ed altri eminenti studiosi, per poi essere relegati nei sotterranei del Museo Archeologico di Cagliari per trent’anni. Nel 2005, grazie all’intervento della Regione, le meravigliose statue, nel numero complessivo di 38, furono finalmente ricomposte, restaurate e, infine, nel 2014, esposte. Ma ancora più incredibile è la storia dei nuovi scavi. Una storia molto delicata. Comprendo la cautela del Professore nel descrivere gli eventi. Quel sito archeologico è di tale importanza che alimentare attriti e personalismi significherebbe ritardare ancora l’opera di messa in luce di un patrimonio archeologico unico al mondo. Mancanza di fondi? Tempi di vacche magre? Solita ignoranza e trascuratezza? Un passo indietro. Nel 2002, in Marocco, a Volubilis, il Prof. Ranieri, applicando delle tecniche di elaborazione di foto aeree in prima istanza e di geofisica poi, svela al mondo un anfiteatro romano che pareva introvabile, anzi ormai dato per inesistente. Davanti agli occhi dell’archeologo Momo Zucca, accade la magia. Compare, con l’applicazione di un filtro nelle analisi effettuate, l’anfiteatro. La reazione dell’archeologo, racconta Ranieri, è di una gioia incontenibile, manco avesse segnato un gol. Nasce così l’idea di applicare le tecniche utilizzate a Volubilis anche a Monte Prama. Come in tutte le storie c’è un’intuizione magica per il Prof. Ranieri. Durante un viaggio negli States insieme al figlio, Ranieri visita il grande museo dell’Universal Studios a Orlando, e sale sulla macchina del tempo, quella di “Ritorno al Futuro”. Durante la fantastica simulazione, la scintilla della creatività si unisce alla ponderosa esperienza scientifica. “Vede”, mi spiega il professore, “la nostra vista rileva una porzione infinitesimale delle radiazioni presenti in natura. In realtà, rispetto a ciò che si muove attorno a noi, ci sono miliardi di particelle che ci penetrano, onde che vibrano e a cui siamo quasi ciechi.” Il Prof. Ranieri, promuove lo sviluppo di uno speciale strumento, un georadar a più canali, per rilevare la presenza sotterranea di “anomalie”, ovvero di “oggetti non identificati”, tramite la riflessione di onde elettromagnetiche. Queste anomalie, o meglio la disposizione delle anomalie, possono indicare manufatti di interesse archeologico. Ma quella compiuta dai due professori, più che una ricerca, è una avventura. Partono nel 2013 con un finanziamento di 200 mila euro della Regione di cui 60.000 di loro cofinanziamento. 140 mila euro per un sito che, in qualunque altro paese del mondo, avrebbe visto l’emanazione di una legge speciale con risorse pari a quelli di una grande opera. Ma c’è un gustosissimo aneddoto su questi finanziamenti. Il primo anno che parteciparono con un progetto per gli scavi di Monte Prama, nel 2009, arrivarono quarti. Perdettero dunque il finanziamento che, prima dei tagli alla cultura, ammontava a 300 mila euro. Perdettero sul filo di lana contro un progetto che prevedeva lo studio delle opere di Torquato Tasso. Uno scrittore italiano già studiato abbondantemente in tutto il mondo, di cui è difficile aggiungere ancora qualcosa, contro una delle scoperte archeologiche più importanti in assoluto degli ultimi anni. Assurdo. Per fortuna qualche anno dopo riuscirono ad ottenere il finanziamento, cui però occorreva aggiungere un impegno di tempo da parte loro e mezzi finanziari da parte delle Università non indifferente. Per farla breve, i due professori finirono per rimetterci di tasca propria, con soldi propri. Ma come indica il Professore con un eloquente gesto della mano, questo è un “vezzo” a cui è abituato qualsiasi ricercatore serio. Ma la storia della custodia pagata di tasca è vera? “Certo che è vera! In parte io, e soprattutto Momo (Zucca) abbiamo dovuto tappare i buchi della custodia con soldi di altri progetti e anche di tasca nostra.” Penso alla Dea Madre del neolitico sardo che doveva essere battuta all’asta a New York per il valore di circa un milione di dollari, e non riesco proprio a capire il motivo di questa trascuratezza su beni archeologi di valore inestimabile. Detto questo, proseguiamo, perché ora il racconto entra nel clou. Un’avventura, abbiamo detto, data la scarsità di mezzi e di risorse umane. Che vengono coperti grazie alla bravura e alla volontà degli allievi dei due professori che lavorano, naturalmente gratis, oltre al progetto di recupero dei detenuti che, ricorda il Professore con riconoscenza e un certo trasporto emotivo, hanno dato un contributo encomiabile. Un giorno, racconta il Professore, un tempesta improvvisa travolse il pallone sonda, a bordo del quale era installata un’ attrezzatura costosissima. “Con i ragazzi riuscimmo a recuperarla e a proteggerla con i nostri soprabiti”, ricorda. Risultato: danni contenuti in “solo” 5000 euro, due broncopolmoniti e svariati raffreddori. Ma il punto cruciale di tutta la narrazione è questa: lo scavo effettuato con quella minima somma, riguarda una porzione infinitesimale di quanto rilevato con la strumentazione. Ora, che la strumentazione del Prof. Ranieri abbia dato ampia dimostrazione, anche scientifica, della sua affidabilità, è scontato. Il Professore Ranieri è originario di Napoli, anche se è una vita in Sardegna. Un sardo di adozione, si potrebbe dire. Conosce bene il mondo universitario internazionale e italiano, avendo insegnato, tra l’altro, anche nel prestigioso Politecnico di Torino per 10 anni. Come dire, non è propriamente un ingenuo, scientificamente parlando. Dico questo per precedere un aneddoto che ci racconta. Il progetto regionale prevedeva l’impiego di metodi geofisici di avanguardia e controllo delle anomalie con scavi selettivi. Non potendo eseguire gli scavi in terreni privati, fu stipulato, con grande lungimiranza, un accordo con la Soprintendenza che prevedeva scavi nella vecchia area archeologica. Vennero individuate 5 aree di scavo, una senza anomalie, due con segnali dubbi e due con segnali (anomalie) molto forti. La verifica nell’area dove non erano presenti anomalie era essenziale. “Se infatti le verifiche di scavo non avessero trovato nessun reperto in aree negative, il metodo poteva ritenersi eccellente. E’ infatti logico che questo avrebbe portato ad un aiuto sostanziale all’archeologo e un risparmio di denaro. Diversamente accade per le zone dubbie dove lo scavo (ridotto) aveva il significato di studio delle anomalie, o ancora di più delle anomalie chiaramente positive dove sapere il motivo che le ha prodotte può essere di grande interesse per l’archeologo. I motivi che possono produrre un’anomalia positiva sono tanti infatti, e solo lo scavo diretto può dirimere ogni dubbio. Cominciammo con gli scavi in zona “negativa” perché non era ancora disponibile il georadar impegnato in ricerche in continente. Non trovammo nulla.” Dopo circa quindici giorni i detenuti protestarono. Professò, ma ci fait ciccai undi non c’est nudda? “Si erano già appassionati ed erano curiosi. Le ricerche vennero spostate nelle zone di anomalie chiare e forti. Con certezza matematica, fu indicato il luogo dove scavare e addirittura furono spostati grossi massi che nel mentre erano stati accumulati proprio sopra quelle anomalie. Fu così che vennero trovati i betili e le statue pressoché intere.” Il georadar aveva scoperto allora tutt’intorno la presenza di migliaia di anomalie (oltre 70000) e oggi circa 100000, per una distesa di oltre 13 ettari, ma con ancora rilievi da fare nelle aree vicine. In pratica, se tanto mi da tanto, un’area archeologica vasta come una città si trova sotto i nostri piedi. Se quel poco che è stato scavato, è riconosciuto, ormai unanimemente, dagli studiosi, come una scoperta addirittura in grado di cambiare la storia, possiamo immaginare quale importanza potrebbe avere l’intero sito. C’è da scavare per decenni, dando da lavorare a centinaia di persone, e da far diventare Monte Prama uno dei siti archeologici più importanti del mondo. Nel frattempo, non è dato sapere se è stato apposto il vincolo archeologico sull’area di Monte Prama visto che è stata concessa l’autorizzazione per impiantare un vigneto, con scasso di circa un metro di profondità, in un area non ancora neppure esplorata, ma contermine a quella di scavo. Torniamo dunque ad uno dei primi quesiti. Mancanza di fondi o di volontà politica? Qui il professore svela un aspetto della questione davvero molto, molto significativo. In realtà c’è la fila dei privati per finanziare gli scavi. Basta pensare che una locale azienda agricola era pronta a fare, a sue spese, l’intera recinzione. Stiamo parlando di cose spicce, ma a quanto risulta vi sarebbe l’interesse, da parte di grandi aziende, a scatenare un inferno di offerte economiche per sponsorizzare scavi che darebbero un ritorno di immagine enorme. A quanto pare, c’è sempre una volontà burocratica che allontana le offerte dei privati, che giungerebbero, altrimenti, da tutta Italia e anche ben oltre. Ma sembra non esserci più volontà di continuare a scavare malgrado non manchino i mezzi. I fondi alle Università dunque non mancano, grazie anche alla Fondazione Banco di Sardegna che sta finanziando gli scavi. Non mancano e sono addirittura sostanziosi, ma non bastano a impedire di fermare gli scavi. Dunque, gli scavi finiscono qui. Finiti. Game over Ma c’è di più. Grazie anche ai buoni auspici e alla riconosciuta autorevolezza internazionale del Professor Ranieri, ci sarebbe la fila di tutte le più importanti Università del mondo per inviare, a spese proprie, i loro migliori studenti per scavare Monte Prama, assieme agli archeologi sardi e alla Soprintendenza Su questa idea, il Professore nutre ancora molte speranze “Potrei addirittura comprare io il terreno, per consentire lo scavo!” Si lascia andare ad esclamare sotto lo sguardo tra il riprovevole e l’ironico di sua moglie , che segue la nostra chiacchierata come una sorta di musa ispiratrice, in quanto sarda appassionata di storia e archeologia da sempre. Rifletto sul senso di impotenza, sui muri di gomma, sulle ottusità che questo scienziato, per amore della scienza e della terra che lo ospita, ha dovuto subire, per poter fare semplicemente il proprio dovere. Una vicenda, questa dei rapporti con la Soprintendenza, con lo Stato, piuttosto complicati. Si ricorderà lo scontro tra l’archeologo Zucca e il funzionario del Ministero, ripreso in un video diventato virale. Tuttavia, i rapporti tra Soprintendenza e Università , accesi da molti decenni, paiono avviati verso un miglioramento. Insomma, non tutto è perduto, si spera di ricomporre le solite, vecchie incomprensioni, e di approntare un progetto secondo la leale collaborazione tra le istituzioni. “Almeno lo si spera per il bene dell’Italia e della Sardegna.” Intanto la nostra chiacchierata volge al termine. Il professore è atteso da impegni familiari. Mi sarebbe piaciuto proseguire ancora per molto tempo, perché sento che c’è ancora molto da dire sulla questione. Alla fine, mi domando perché. Perché questa sottovalutazione, da parte soprattutto della Stato, ma anche un po’, diciamolo, della nostra Regione, nei confronti di una emergenza culturale che potrebbe essere l’inizio di una inversione del nostro modello di sviluppo? Una sottovalutazione che pare assumere i contorni, in certi frangenti, di una vera e propria opera di boicottaggio, di sbarramento nei confronti della valorizzazione di un sito che, in qualunque altro paese oggi sarebbe diventato un parco archeologico, con la fila di visitatori da tutto il mondo. Perché? Certo ci sono interessi enormi in gioco. Interessi economici, politici, (o addirittura militari?) che travalicano i confini, se pensiamo che porre l’attenzione dell’isola al centro del mondo culturale potrebbe rinforzare le tesi di chi sostiene che quelle servitù militari sono nel posto sbagliato. Un enorme “giacimento culturale”, è la definizione che mi ha dato Ranieri, prima di salutarci, che ci fa comprendere il valore, non solo scientifico e morale, ma anche economico di quel sito. Che contrasta, però, con altre occupazioni, minerarie, industriali (e militari?), alla quale il destino di questa terra pare non riuscire a sfuggire. Non solo, dunque, semplici beghe e personalismi, o mancanza di fondi, o ignoranza. Tempo fa scrissi questo pezzo, Se i giganti di Monte Prama fossero made in China che provava a spiegare con gli strumenti dell’antropologia culturale il clima sulla quale si innescano certi meccanismi. Si deve sempre creare un terreno fertile per poter poi prendere decisioni nell’interesse di pochi, che non sollevino troppe polemiche, o troppo scandalo. Il clima secondo cui i nuraghi sono quattro pietre di una civiltà “mediocre” e le statue, uniche nel loro genere per antichità e fattura, quattro pupazzi privi di valore, preparano il terreno ad un uso del territorio per affari ben lontani da un modello di sviluppo sostenibile, integrato e diffuso. Tuttavia, grazie all’impegno del Professor Ranieri e dei suoi collaboratori, e di altri studiosi come l’archeologo Zucca, ed anche grazie ad una mobilitazione popolare animata da organi di informazione liberi come il nostro, qualche notevole e speranzoso passo in avanti è stato compiuto. Ma occorre che i sardi, prima di tutto, capiscano.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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