È un disastro antropologico quel che si manifesta con l’ipnosi da schermo di smartphone, ci rende dipendenti giorno e notte dalle notifiche dei social e ci impedisce di liberarci, anche volendo, da quell’appiccicosa rete di relazioni virtuali costruita per gioco? Non lo so, anche se gente molto più qualificata di me lo ritiene molto probabile. http://www.repubblica.it/salute/prevenzione/2017/12/01/news/non_solo_millennials_anche_i_genitori_sono_schiavi_del_web-182714197/ Sul rapporto violento tra uomo e tecnologia, segnalo un interessante lavoro cinematografico. Monolith è un film ambientato in un futuro che non sappiamo quanto possa essere lontano. Lo ha diretto il regista Ivan Silvestrini, lo hanno prodotto Sky e la casa editrice Sergio Bonelli. Una giovane donna – interpretata da Katrin Bodwen – viaggia nel deserto della California assieme al figlio, poco più che un neonato, su un’auto blindata appena entrata in produzione, un suv intelligente in grado di dialogare con la conducente. Per una serie di cause accidentali, il cervello elettronico della macchina si inceppa e l’auto tiene prigioniero al suo interno il piccolo. La donna riuscirà a liberarlo, due giorni dopo, solo dopo essere riuscita a far schiantare da un dirupo il Suv, in una scena che evoca una ipotetica ribellione umana contro una tecnologia sempre più aggressiva e invadente. La protagonista si riprende il figlio, cioè la sua stessa vita, con un atto di forza apparentemente suicida. Monolith fa riflettere su quanto l’intelligenza artificiale, anziché facilitarci la vita, ci renda lentamente dipendenti, una dipendenza malata che impigrisce e aliena. Entrate in una classe delle scuole superiori e vedrete una maggioranza di ragazzi incapace di far calcoli a mente, perché la calcolatrice del telefonino li esenta da questo sforzo di memoria e volontà. Ma vale ormai per tutte le età, non solo per gli studenti: crediamo di essere più liberi con Google che risponde per noi, esonerandoci dalla fatica dello studio e dell’approfondimento. E così sarà sempre più per un crescente numero di attività mentali, d’ora in poi. Bisognerebbe sacrificare questa apparente libertà gettandola in un dirupo. Temo non ne saremo capaci.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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