Ogni giorno la signora Sanna e mia madre trotterellavano veloci davanti a noi…
Il Mercato di San Benedetto era la cattedrale laica di un territorio costellato ancora da pigri cantieri e campagne fuori dal tempo… nel breve percorso di stretti sentieri e alberi spontanei, superata Villa Muscas, che in realtà era la scuola agraria, il mercato appariva come il totem di un quartiere ancora senz’anima. C’era in tutti un senso di reverenza nell’entrare ogni volta in quel monumento profano della modernità, che invece per me costituiva soltanto il primo assaggio di un sesso furtivo e reale nella mia acerba vita di adolescente brufoloso della periferia cagliaritana.
Tra i banchi occupati dalle verdure, dalla frutta e dalle carni, appena le due donne si fermavano a contrattare con il macellaio di turno per ammorbidirne le pretese economiche, noi assaporavamo con sempre minor innocenza le gioie del contatto sessuale. Era un bacio furtivo, più spesso una palpatina ai glutei, ma quello era lo sviluppo massimo del nostro romanzo erotico, e tanto doveva bastare.
Andò avanti così, per mesi, senza particolari passi avanti e questo sembrava darci sempre maggior sicurezza.
Poi, improvvisamente, la signora Sanna sparì per seguire il marito maresciallo trasferito a Cuneo per un’inaspettata promozione, e chissà se anche nella piccola città delle Langhe trovò un’amica occasionale pronta ad assecondarne le opportune per lei maratone musicali.
Fatto sta che sparì anche Monica, e così quella mi apparve addirittura come la fine di un‘epoca, come quando un sogno è interrotto da un rumore improvviso, banale, che ci lascia un ricordo sfumato, ingigantito dalla difficoltà di focalizzarlo come ci appariva in origine, anche se non ci si vuole più rinunciare…
Al mercato di San Benedetto, io, ci tornai molti anni dopo con mio padre, che, però, a differenza di mia madre, amava soprattutto il mercato ittico, al piano terra.
Mio padre era una persona molto più entusiasta di mia madre, e il mercato ittico diventava, per un attimo, un palcoscenico ideale per esaltare i pregi del pesce azzurro, quasi la sardina fosse per lui un simbolo del cibo proletario nel tempio della spesa capitalistica.
Il pesce azzurro, allora, era sulla parete destra, prima che vi mettessero i frigoriferi dei surgelati, e precedeva le sontuose aragoste e i gamberoni rossi, il pesce spada e il tonno.
Alla sinistra le ostriche, i bocconi, le cozze e le arselle, intrappolate sempre più nelle loro retine, garanzia di allevamenti salutari e nostrani.
Il regno delle orate, delle spigole e delle cernie, anch’esso pesce nobile, prima che arrivassero le peschiere, era nell’angolo a destra, gestito da un’antica cooperativa di pescatori.
Al centro, nelle tre strette corsie parallele, era ed è il regno della piccola pesca, delle triglie e delle seppie.
I polpi bolliti, infine, stavano sempre oltre le scale che portavano al mercato dell’ortofrutta, mentre sulle corsie opposte trovavi allora i primi surgelati, sogliole, astici, ricci e anguille.
Sfumature meno accese, quelle del mercato ittico, più fredde, quasi trattenute dalle abili furbizie dei pescatori più scaltri… bianco ghiaccio, rosa tenue, rosa sabbia, azzurro ghiaccio, azzurro pallido, azzurro pastello…
E così io seguivo mio padre, ma in realtà speravo di vedere dietro ogni box mia madre e la signora Sanna contrattare con il pescatore di turno per ammorbidirne le pretese economiche. E vedere Monica, con le sue sfumature di seta, o almeno come mi pareva di ricordare… ma ogni volta era una delusione.
Poi, però, ogni volta, anche noi salivamo al reparto ortofrutta, a godere di quel tripudio di colori accesi che in nessun modo il mercato del pesce riusciva a mettere insieme. E così un giorno, in uno di questi apparenti diversivi, mi sentii chiamare alle spalle.
Mi girai e vidi un’insegna: Monica di Sardegna… Lei era lì, stretta in un camice bianco che ne metteva in risalto le forme sempre più generose, pronta a raccontarmi la sua vita senza di me.
Io, però, non sapevo cosa dire, nonostante lei mi aiutasse con un sorriso ammiccante.
Era diventata una bella donna, piena, di salute e di tutto il resto.
“ Buffo, vero? Dopo tanto tempo ci incontriamo nuovamente al Mercato di San Benedetto “.
Ne convenni.
Poi vidi, accanto a lei, un ragazzo massiccio e basso che serviva il rosso con l’abile destrezza data dalla lunga esperienza.
Lei si accorse del mio debole sorriso e me lo presentò… “ Efisio, questo è Vincenzo, un vecchio amico… Vincenzo, lui è mio marito, sta studiando da enologo… “
Gli strinsi la mano e, congratulatomi per quella scelta appropriata, me ne andai subito, con una scusa.
Non so perché, ma da quel giorno non sono più entrato in quel magico luogo.
Soltanto quando assaggio un bicchiere di Monica, ancora oggi, sento il brivido causato da quei baci furtivi, da quelle palpatine ai glutei, e allora mi scolo l’intera bottiglia e metto su un CD di Wagner o di Rossini sulla mia vecchia, polverosa fonovaligia degli anni Sessanta che conserva ancora il sapore antico delle forme di Monica…
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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