Per un ateo, poter contare su un’educazione cattolica ha i suoi vantaggi. A fronte della perdita dell’eternità, restano a disposizione una serie di strumenti, un bagaglio di saperi e di ricordi, e tracce. Tracce fatte di parole antiche, su cui riflettere, anche dopo che l’idea di immortalità dell’anima si è dileguata come lacrime nella pioggia (è una citazione). Da poco mi sono imbattuto in uno scambio di opinioni su ISIS. Davanti alla barbarie di chi taglia teste, nei cattolici più ferventi si affaccia spesso il piglio del guerriero o anche solo la pompa del tifoso, per cui scatta la legittimazione dell’ennesima operazione di pace. Quella discussione su ISIS mi ha riportato a galla ore e ore di litigate con i miei genitori, di discussioni con il prete di turno o l’insegnante di religione quando ero ragazzo, gli scazzi da studentello universitario con colleghi classisti o conservatori, per non dire fascisti, gli scambi su FB in età adulta. E un tratto costante che ogni volta ritorna: quel bisogno di coerenza che verso i sedici anni mi portò a imboccare per la prima volta la strada dell’allontanamento dalla religione. Strada tortuosa che nel corso degli anni mi ha portato a ripensamenti, tentativi, compromessi, ma che in definitiva, ha rafforzato la mia convinzione che non vi sia una vita dopo la morte e che anche la religione cattolica sia in fondo una meravigliosa narrazione dell’uomo, al pari di tante altre. Però. Quel bisogno di coerenza di cui dicevo, continua a bruciare e a tenere aperte vecchie ferite. Mi sento di chiedere dunque a ogni cattolico, in che senso e in che modo una guerra sia giustificabile. Esistono delle tracce fatte di parole, come dicevo prima, che restano in eredità anche a chi a un certo punto spegne il cero e dice: io non ci credo più. E spesso sono parole belle, bellissime. Una è questa: date a Cesare quel che è di Cesare. Ma chi è Cesare? Questa o quella autorità locale? Questo o quel potente di volta in volta al governo? O è piuttosto la legge degli Uomini? E se è così, non sarà forse la più vasta legge che gli uomini tentano di darsi: quella che attraverso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, pur con mille compromessi, condanna le stragi a Gaza, gli annegamenti di massa, l’invasione dell’Iraq nel 2003 da cui scaturisce ISIS? Dare a Cesare, forse, indica la strada della costruzione sociale e paziente di una civiltà per tutti gli esseri umani? Non lo so, sono domande. Altre parole: ama il prossimo tuo come ami te stesso. Su questo non ho da aggiungere nulla, se non che avrei voglia di scriverlo con cenere indelebile sulla fronte di coloro che si dicono credenti in qualcosa di Universale, e poi augurano la morte per annegamento ad altri esseri umani. Sono vendicativo, in questo senso, molto vendicativo. E infine, le parole più belle, dette io credo, da un uomo che sapeva in fondo di essere mortale, che sapeva quel che rischiava, che non sapeva il casino che sarebbe stato costruito sulla sua storia dopo la sua crocifissione, e che un giorno ha detto: vedete questi bambini? Quello che fate al più piccolo tra loro, lo state facendo a me. Penso ai bambini di Gaza, ai bambini siriani, ai bambini che salgono su un barcone e muoiono nell’acqua del mare senza potersi giocare la vita come fanno di solito i bambini. Penso a loro, e penso a chi non può non dirsi cattolico e nello stesso tempo spera che quei barconi continuino ad affondare. E mi sento un po’ più solo e un po’ più libero.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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