Ho aggiornato WhatsApp l’altro ieri. Novità. Arrivano gli “Status”. Provo. Ah! Ma sono le “Storie”! Mi direte. Che sono le “Storie”? Le “Storie” sono la possibilità di mettere in fila foto, immagini e video brevi, corredati da testo e/o emoticon, che durano il tempo di 24ore. Wow! Figo! Ma perché questa cosa in WhatsApp? Ad oggi, la funzione “Storie” è stata propagata su tutte le App dell’ecosistema di Mark Zuckerberg. Motivo, tenere testa al concorrente SnapChat che per primo ha ideato questa modalità di condivisione “senza-memoria”, modalità che riscuote successo tra gli under-30. Così, il LunaPark di Mark, ovvero Facebook (1,9 miliardi di utenti), Instagram (600 milioni di utenti) e WhatsApp (1,2 miliardi di utenti) stanno convergendo inesorabilmente verso quello che ho definito il “Minestrone Social”, uno zuppone in cui tutto è inevitabilmente social, tutto è pubblico. Ma andiamo con ordine. WhatsApp è nato come strumento avanzato di messaggistica istantanea per smartphone, vera killerApp degli ormai defunti SMS. L’utilità (e anche la grande intuizione) di questo servizio è l’utilizzo del numero di telefono cellulare come identificativo dell’utente. Quindi se ho il tuo numero in rubrica, posso anche inviarti un messaggio istantaneo multimediale (se hai anche tu installata l’App). La tipologia di comunicazione nativa di WhatsApp è normalmente one-to-one (salvo i casi degli ormai epici Gruppi WhatsApp delle mamme degli scolari). La praticità e anche la discrezione dello strumento, lo rende la scelta ideale anche per quel tipo di comunicazioni che di social non hanno nulla. Ad esempio su WhatsApp io comunico, oltre che con amici e parenti, anche con il pediatra delle mie figlie per chiedere lumi e consigli, contatto il mio meccanico di fiducia per prenotare un intervento, chiedo all’idraulico di passare a casa per riparazioni varie. C’è insomma la mia vita privata, quella in cui ci sono anche persone al di fuori della mia vita “empatica”. Altra cosa sono i social network, come Facebook o Instagram. La comunicazione su queste piattaforme è pubblica, many-to-many. E’ una platea del tutto differente dalla mia rubrica telefonica. Sui social network le logiche di condivisione e “l’engagement” sono essenzialmente liquide e non private. Ad esempio, avere il numero ti telefono del salumiere su WhatsApp può tornarmi utile, avere il suo contatto Facebook e sapere che è andato al concerto del suo cantante preferito, sicuramente lo è di meno. Il grande inganno dei social network, specialmente di Facebook, è quello di considerarci come una persona che interagisce sempre allo stesso modo con tutti. Cosa che a mio avviso non è vera. Quando stiamo in famiglia abbiamo un comportamento, quando stiamo con i nostri amici ne abbiamo un altro così come a lavoro ne abbiamo un altro ancora. E’ così. Ed è naturale che sia così. (che poi era la grande intuizione di G+ con la funzionalità delle “cerchie”. Peccato che G+ era già morto prima di nascere). Facebook invece ci impone il “Minestrone Social”, tutto con tutti. Di più. Mark ha deciso che questo “Minestrone” deve stare anche su WhatsApp. E allora ecco gli “Status” (o Storie) e una sorta di timeline da poter scorrere per vedere cosa ci propongono i nostri contatti. A due giorni dalla introduzione degli “Status”, su WhatsApp ho visto: il mio meccanico farsi un selfie dietro un magazzino di ricambi, l’idraulico col figlio vestiti per carnevale, un mio vecchio amico che si spara un mojito in spiaggia (foto estiva, siamo in inverno), il mio vicino di casa che caccia la lingua a ripetizione usando il “boomerang”. E’ tutto molto interessante (cit.) p.s. Non sapete cos’è il “boomerang”, vero? Matusa che non siete altro! E aggiornatevi, benedetti figlioli!
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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