Il 26 gennaio del 1917 nacque la poesia più piccola e intensa della storia della letteratura. Un condensato di bellezza e di essenzialità in una frase: “M’illumino d’immenso” e il titolo “mattina” spiega davvero tutto. Dentro quelle parole c’è il condensato della passione, della voglia di vivere, di scoprire, dell’essere solo e insieme all’universo, di essere cielo, mare, nuvola, luce avvolgente e buio che arriverà. Forse. E’ anche la poesia dell’attimo, il carpe diem delicato e dolce. Eppure Giuseppe Ungaretti quando la scrisse aveva inizialmente aggiunto “con un breve moto di sguardo”. Decise poi di eliminare la frase finale. Ed ebbe ragione lui. Se si parla troppo si rischia di aggiungere ovvietà o si porta il lettore verso altre strade. Saremmo stati distratti da quello sguardo che leggermente si muoveva, avremmo scritto fiumi di parole (i Jalisse non c’entrano, giuro) tentando di spiegare perché quell’immenso non era proprio generale ma legato allo sguardo che il poeta aveva deciso di volgere con un breve (quanto breve? perché breve?) moto verso chissà dove. Siamo fatti così: rispondiamo, in genere, ad una domanda con una domanda e quando cominciamo a rispondere difficilmente chiudiamo subito il discorso. Quanto vorrei incontrare qualcuno che guardando l’orizzonte ti dica soltanto: “m’illumino d’immenso”. Magari pensi sia per te o chissà. Ad uno che dice una cosa del genere non occorre nessuna replica. Proprio nessuna.Magari potrebbe fare il Presidente della Repubblica. Magari.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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