Io me lo ricordo Carlos Monzon. Dio se me la ricordo quella giornata di Novembre passata a raccogliere i pugni e cadere alla dodicesima ripresa, provare a rialzarsi ma comprendere che lui, Monzon, era effettivamente più forte. Avevo 11 anni e queste cose non si dimenticano. Ricordo anche la rivincita a Maggio del 1971 e anche in quel caso fu una terribile sconfitta. Alla terza ripresa . L’allenatore di Benvenuti lancia la spugna ed è un nuovo knock out tecnico. Così, a 12 anni, il mito di Nino Benvenuti sparì dal mio orizzonte e decisi di stare dalla parte di Monzon. Non so perché ma da subito mi ispirava una strana fiducia, con quella faccia da indio triste, con sterili sorrisi; era uno che voleva prendere a pugni il mondo. Un po’ come me, spirito inquieto e ribelle, contro tutto e contro tutti a cavallo tra l’infanzia e l’adolescenza, alla ricerca di qualcosa da affrontare. Nel mio gruppo si parteggiava tutti per Monzon e quando qualcuno provava a fare una spacconata subito lo si bloccava con la frase killer: “Mih che non sei Monzon!”. Lui, l’argentino, l’indio, era diventato il metro di paragone delle imprese impossibili. Solo lui poteva farlo. Solo lui doveva farlo. Quando poi cadde davvero nella polvere la mia vita era virata verso altre strade, meno tortuose. Avevo 29 anni quando Monzon, ormai ex pugile, fu condannato a undici anni di reclusione, accusato di aver strangolato e gettato dal terrazzo della sua villa la terza moglie Alicia Muniz. Uscirà dal carcere in semilibertà e la notte dell’8 gennaio del 1995 si schianta con la sua auto a 140 KM all’ora. Pare non abbia neppure frenato. Non ha mai gettato la spugna. Quando appresi la notizia ho ripensato a quelle notti dei duelli con Nino Benvenuti, ai miei amici e ho concluso che lui non poteva morire: “Mih che sei Monzon!”.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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