Più voci mi confermano un ripopolarsi di certe zone della Gallura costiera. Ville e appartamenti che normalmente restano deserti fino a giugno, oggi sono occupati. E siamo a fine febbraio. Cosa è successo? Semplice: i proprietari, gente del nord Italia, non stanno approfittando dei primi tepori di questa primavera anticipata, ma fuggono dalle loro regioni per questa psicosi del contagio da coronavirus. Credono di trovare rifugio sicuro in Sardegna. Capirete che la notizia si presta a commenti e provocazioni. Se ragionassimo come i leghisti, che proprio in quella parte d’Italia si sono affermati, ci sarebbero da chiudere i porti per difendere la salute della nostra regione, respingendo gli untori per scongiurare contaminazioni. Loro sicuramente risponderebbero che qui pagano le tasse e farebbero presente di avere la residenza ad Arzachena, Palau o Santa Teresa Gallura. La replica sarebbe scontata: di fronte all’emergenza sanitaria e al pericolo di epidemia, provenire da un luogo infetto annulla ogni altra osservazione, tasse e residenza comprese. E sarebbe curioso vederli là, a qualche centinaio di metri dalla costa, tenuti a distanza di sicurezza dalle motovedette. Sarebbe curioso, dal ponte delle navi, sentirli appellarsi all’umanità, alla solidarietà, al grande cuore degli italiani. Sentirli implorare: “Fuggiamo solo dalla paura, cerchiamo solo una vita migliore”. Dai, sto cherzando. Però ogni tanto è utile passare dall’altra parte, anche solo per vedere l’effetto che fa.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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