Uno è arrivato quando può dire: “Io ho i miei poveri”. Abbiamo tutti i nostri poveri. Li paghiamo perché esercitino il loro eterno compito di psicofarmaci per lenire le nostre intime sofferenze. Chi sono io che ho avuto la fortuna di nascere tra quelli che non soffrono la fame, che non sono obbligati dai genitori a rubare nelle case, che non devono fuggire da guerre e carestie? Sono uno fortunato e pago la mia fortuna beneficiando le mani tese di cui le strade sono cosparse. Quindi non mi rompete i coglioni. Ci sono diverse categorie di mendicanti e in ogni categoria ci sono svariate individualità. Noi scegliamo tra le prime e tra le seconde, esercitando così la funzione antica del nobile medievale e del borghese moderno che con tono ieratico diceva appunto di avere i suoi poveri. Scegliere i propri poveri è una delle caratteristiche dell’essere ricco. E al giorno d’oggi essere ricco significa sempre di più semplicemente non essere povero. Scegliere i propri poveri ti dà un senso di agiato e sereno potere e insieme ti solleva da ogni senso di colpa per la tua fortunata nascita. Ti conferma nel tuo ruolo di responsabile erogatore di benessere materiale, chiamato a giudicare chi merita il tuo euro virgola cinquanta per simpatia, stato di bisogno reale del richiedente, garanzia sul modo in cui quelle due monete verranno spese. Importante, quest’ultimo. Voglio sapere come spenderai i miei soldi. Quand’ero piccolo assistevo alle elemosine date a certi barboni insieme alla raccomandazione: “E ora non spenderteli tutti in vino”. Adesso dicono di non utilizzarli per drogarsi o buttarli nelle slot. Facciamo anche le classifiche. Agli ultimi posti sono gli zingari, la cui figura atavicamente ci è antipatica: per molte leggende e pochissime verità e soprattutto per lo sguardo fiero che queste donne e questi uomini e questi bambini non riescono a nascondere neppure quando tendono la mano. “Come ti permetti, villano, di comunicarmi la tua tranquilla coscienza di essere uomo quanto me proprio mentre mi chiedi l’elemosina? Adesso non ti do un cazzo!”. A metà strada gli immigrati di recente generazione, soggetti ai nostri sbalzi di umore e alla presenza immediata senza troppe ricerche in giro per le tasche di spiccioli di cui liberarsi. Quelli che per pochi centesimi mostrano esagerata ma non fastidiosa riconoscenza otterranno probabilmente nuove elargizioni quando li ritroveremo sul nostro cammino. Al secondo posto i barboni bianchi possibilmente con animali al seguito. Il cane ci fa tenerezza e siamo munifici con il suo padrone sperando che spenda tutto per esso. Al primo posto gli ormai rari mendicanti bianchi possibilmente agé, perché dietro a quelli giovani c’è sempre il rischio della droga. Sai quanta eroina o altre porcherie si possono comprare con le tue monete da dieci e venti centesimi. Facendo eccezione alla regola del bianco anziano, direi che il nostro modello ideale di mendicante è la Piccola Fiammiferaia di Andersen: bianca, non petulante, riservata, socialmente non gravosa perché destinata in un futuro prossimo a essere mantenuta in condizioni di dignitosa agiatezza da istituzioni metafisiche alle quali non dobbiamo neppure pagare tasse. Insomma, io spero che questo Governo che interpreterà i bisogni e le aspirazioni nobili e profondi del nostro popolo, davvero non liberi le strade da negri, zingari e malati di mente e un domani anche da ebrei (a proposito, tra i vincitori già in due o tre mi hanno detto che la finanza europea che ci affama è nelle mani degli israeliti. Se son rose fioriranno). Lo spero perché questi medicanti in fondo non ci danno tanto fastidio e con poca spesa ci fanno tanto bene perché se ci sentiamo generosi e in pace con il mondo è tutta salute.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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