A marzo del prossimo anno, Mia Figlia Follia, il romanzo di Savina Dolores Massa edito dal Maestrale, verrà tradotto in Francia per Les éditions de l’Ogre.
Savina è una scrittrice amata da un nutrito gruppo di sostenitori, critici, addetti ai lavori e appassionati, i quali prescindono dalle ali di un mercato sempre più mercantile e dalle bizze di premi letterari che, spesso, risultano incomprensibili alla logica dell’arte.
Mia Figlia Follia è un capolavoro, e Maddalenina una portentosa creazione letteraria.
Una minorata psichica che, giunta in età matura, è travolta dal desiderio di maternità e si innamora. E’ uno straniante esercizio di immedesimazione, scendere dentro la mente confusa di una donna priva della sequenza cognitiva consueta, con un delirante e soffocante desiderio di affetto, considerazione, amore e procreazione.
Al netto delle suggestioni “pulp” che Savina non usa mai, neppure per virgola, per fare fumo, nel leggere quelle parole che riescono a renderti dentro quella tempesta di sogni, l’immagine che mi viene è questa: viscere e terra impastate.
Non mi chiamo Savina io e, per il momento, non so fare di meglio.
Provo però a spiegarmi in altro modo.
Nella prosa di Savina materia e sentimento non appaiono due cose distinte. Sono una cosa sola dalla quale si possono cogliere delle sfumature, delle diverse interpretazioni, ma non delle differenze, dei poli opposti ai quali affidare una morale o un biasimo.
Spesso è la predisposizione del lettore che accoglie la prosa a definire, leggendo e rileggendo, dove inizia lo spirito e dove finisce la materia.
Materia e Spirito, cioè l’entità pura del creato e la bassezza e la miseria delle umane debolezze e delle cose infime, proseguono indistinti verso una idea di destino che non si può definire neppure circolare, ma forse infinito.
Mi viene da pensare, per esprimere questa idea, alle competenze che possono avere dei fisici nucleari quando tentano di spiegare che la materia è energia, e spesso ricorrono alle definizioni che la filosofia orientale ci offre.
In quel destino più infinito che circolare, si può, è possibile, individuare un turbine narrativo dove si stagliano stratificazioni di sentimento, significati, simboli portati da personaggi tanto improbabili quanto emblematici.
Il tutto galleggia, ovviamente e non poteva essere altrimenti, su diversi piani interpretativi. Immagino che ciascuno ne colga o ne prediliga alcuni.
Nel cero consacrato alla Madonna, amato da Maddalenina, ad esempio, le interpretazioni si colgono sottosopra. Non c’è scandalo e neppure virtù nella pornografia pura di un folle desiderio di maternità che, nella ingenua mente della donna, passa per le doti taumaturgiche di un feticcio che è consacrato a colei che ha procreato senza carnalità. A pensarci, la mente bambina della cretina è perfettamente coerente nell’immaginare una trasmissione di fertilità che ci induce a riflettere, tutti, sulla credulità popolare che è socialmente accettata e quella che invece non lo è.
Ma, per paradosso, nell’inseguimento dei destini infiniti, la cretina si innamora di tre personaggi i quali, per motivi diversi, non sono atti allo scopo.
Il vecchio professore, al quale la vita gli ha destinato il ruolo di educatore, ruolo che svolge in modo impeccabile, è preso dalla smania periodica di farsi brutalizzare dai marinai del porto, incontrando umiliazioni e percosse, mettendo di fronte, in uno scontro feroce, l’intimo depravato con il ruolo sociale. Il fattore, così ossessionato dalla “roba”, circondato dalla fertilità ubertosa dei suoi animali e del suo campo, che si ritrova evirato dall’animale simbolo della potenza sessuale, il toro. Il giovane fanciullo, rampollo di una famiglia che nel sangue ha il dono di una longevità che scade ai cent’anni, che sogna modi fantasiosi e romantici di suicidarsi, per evitare un destino che percepisce come un cappio in fondo ad un tunnel, come segno di una vita che ha la tragedia nel suo noioso scadenzario, nel suo guardare oltre il naso del proprio presente.
Di questi amanti impossibili si innamora Maddalenina, la cretina reietta e puzzolente, mentre una misteriosa figura pensante, la vecchia del cortile, una sorta di coscienza universale, osserva lei e tutte le anime in pena in cerca di un destino risolutore.
Tutta questa umanità sembra finire risucchiata da un buco nero gravitazionale che se la ingoia.
E noi ci ritroviamo un po’ dentro un po’ fuori questo mondo umano e inumano, perplessi.
Ora tutto questo concentrato di poesia e varia umanità prende il mare, verso il largo, e sbarca altrove, in Francia.
E noi gli facciamo tanti, ma tanti auguri.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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