C’è una foto di quando ero bambino che mi è rimasta impressa. Una foto che non so dove sia finita, a dire il vero, in qualche cassetto a casa di mamma credo. Mi ritrae all’età di 4 anni mentre inseguo un pallone insieme a mio fratello, che aveva 5 anni e arrivava sempre prima di me. Entrambi con la maglia dell’Inter, in un campetto erboso sotto casa, con mio padre sorridente sullo sfondo, sfocato. Sono i ricordi d’infanzia di quella bella cittadina in cui sono nato, Lodi. L’anno dopo siamo venuti in Sardegna, nella terra di mia madre. Mi sono sfilato la maglia dell’Inter e ho indossato quella del Cagliari. Ma quel pallone mai raggiunto, in un certo senso, mi ha sempre spronato, nel mondo dello sport e nella vita, a impegnarmi di più, a dare sempre il meglio di me stesso, per trovare la soluzione allo strapotere di chi era oggettivamente più forte. Potere dei ricordi incistiti nella mente fin dall’infanzia. Io sono e mi sento sardo a tutti gli effetti. Tuttavia un mio angolino di cuore si è sempre pregiato di sentirsi lodigiano, un luogo dove comunque ho trascorso quei pochi anni di felice infanzia. Cittadina benestante, con opifici industriali rinomati, Lodi è un luogo del mio immaginario felice, dove mio padre mi portava a giocare a pallone, dove i piedi si congelavano durante le battaglie con le palle di neve, dove si andava a vedere il fiume Adda la domenica di primavera, dove si dava da mangiare alle caprette nel parco giochi, l’Isola Carolina. Era un luogo dove l’antica solidarietà del mondo delle cascine perdurava in una sorta di benevolenza e cordialità tra vicini. C’era sempre una sciura tizia o un sciur caio a cui chiedere o a cui fare con piacere un favore. Con il tempo quell’antico mondo dove si dava del lei e dove le persone avevano quasi tutte un titolo, anche solo di ragioniere o di geometra, è andato via via scivolando verso la modernità ”liquida”. Per contro, a venir meno della forma, si sono ridimensionati anche i rapporti umani, oggi dominati dalla cosiddetta “privacy”, compensata dall’orgia comunicativa e fredda dei “social”. Chiusi nella stanza, ciascuno con il suo dispositivo “multitasking”, si resta connessi ma, in un certo senso, fondamentalmente soli, senza nessuna sciura o tziu a cui chiedere o rendere un favore. Ma non sono i “social” i protagonisti di questa deriva che ha spazzato via le relazioni umane e con essa l’empatia. Il discorso sociologico e antropologico è noto ai lettori di autori come Bauman, appunto, o Latouche, e tanti altri, per cui non vi annoio oltre. Ma possiamo dire che già da tempo i germi di questa “grande trasformazione”, per utilizzare l’espressione coniata negli anni ’40 da Karl Polanyi, era in atto. Cioè la trasformazione degli esseri umani in oggetti, dominati dalle dinamiche del mercato, che attribuisce ad ogni cosa, persone comprese, un valore quantitativo. Se non consumi non sei nessuno. Scrive Bauman in “Amore Liquido” che “la solidarietà umana è la prima vittima dei tronfi del mercato dei consumi”. Siamo diventati delle cose senza cuore, senza umanità, senza sentimenti. E l’odio verso gli stranieri è stato in gran parte indotto da quell’egemonia culturale, camaleontica, che si finge “popular” ma in realtà continua sotto mentite spoglie a difendere gli interessi di quel mondo egemonico a cui non ne tocca minimamente gli interessi, mentre siamo confusi dal gran polverone sollevato dell’odio contro gli immigrati o l’antipolitica, o l’anti questo o l’anti quello. Oggi Lodi è al centro delle cronache per l’indegno provvedimento di una Sindaca, che ha di fatto escluso con un cavillo burocratico i bambini stranieri dalla mensa e da altri servizi essenziali. Un fatto di una tristezza enorme, che ci riporta indietro a periodi che pensavamo ormai dimenticati, a luoghi dove la storia si è fermata, come gli Usa degli anni ’60, o il triste periodo dell’apartheid sudafricano, o i lugubri muri eretti più di recente in Palestina. Mi sono voltato indietro e mi sono rivisto bambino a Lodi. Figlio per parte di madre di emigrati sardi, sarei stato considerato un mezzo terrone, probabilmente, oggi. E forse discriminato, in qualche modo. Questo è il mondo che stiamo consegnando alle giovani generazioni. Un mondo di muri e di filo spinato, dove la solidarietà compare talvolta solo davanti a qualche tragedia, ammesso e non concesso, e dove il razzismo e l’idea che i diritti non siano per tutti, ma solo per gli esseri umani di serie A, sono ricomparsi dai luoghi più oscuri della storia umana. Che dire, oggi, di fronte a questo scempio del senso di solidarietà, della cosa più giusta e delicata che abbiamo, la cura dell’infanzia? O forse che quei bambini oggi maltrattati e discriminati non andranno a comporre anche loro il mondo che sarà del futuro e dei nostri figli? Ecco, ho la sensazione che in questa trasformazione da esseri umani a oggetti, ci stiamo perdendo di vista le generazioni future, che non ci importi un fico secco del loro destino, presi come siamo da quella che io definisco la dittatura del quotidiano, che riduce il nostro orizzonte al qui e ora, come se il destino si compisse, continuamente e incessantemente, nello stolido presente. Che dire oggi, guardandomi allo specchio? Che quei ricordi dell’infanzia oggi sono distrutti, frantumati, e che mi vergogno profondamente di essere nato in quella cittadina dal nome Lodi. Ma aggiungo, anche, che sono orgoglioso di far parte di quella umanità che ancora nel nostro mondo resiste alla mercificazione della morale e dei sentimenti.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
3 ottobre 2013: la strage di Lampedusa (di Giampaolo Cassitta)
Il prete e il povero (di Cosimo Filigheddu)
Una modesta proposta (di Cosimo Filigheddu)
La mia ora di libertà (di Giampaolo Cassitta)
A vent’anni si è stupidi davvero. A 80 no. (di giampaolo Cassitta)
La musica ai tempi del corona virus: innocenti evasioni per l’anno che verrà. (di Giampaolo Cassitta)
Guarderò Sanremo. E allora? (di Giampaolo Cassitta)
Quel gran genio di Lucio Battisti (di Giampaolo Cassitta)
Capri d’agosto (di Roberta Pietrasanta)
Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
Marshmallow alla dopamina (di Rossella Dettori)
377 paesi vivibili (di Roberto Virdis)
Per i capelli che portiam (di Mimmia Fresu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.704 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design