Prima dell’estate il mio paese, come tanti altri della Sardegna, è chiamato al rinnovo del Consiglio comunale. Mi è stato chiesto un contributo e, per la prima volta in vita mia, ho deciso di partecipare agli incontri politici di una delle aggregazioni in via di costituzione. È un’esperienza forte, impegnativa. Quando ci si confronta in campo aperto, dentro assemblee civiche senza steccati ideologici o simboli di partito, sedute allo stesso tavolo si confrontano persone che spesso hanno davvero poco in comune tra loro. Per un aspetto che le unisce, altri dieci le dividono. Hanno storie personali, aspirazioni e orizzonti diversi. Col dialogo, col buon senso di enfatizzare gli elementi di contatto anziché quelli di contrapposizione, alla fine ci si ritrova meno distanti, rispetto al punto di partenza. È difficile accettare di condividere un percorso con persone con le quali non si trova nessun argomento di dialogo, ma alla fine si rivela una grande palestra di democrazia.
Ogni tanto bisogna avere la forza di tenere la bocca chiusa e di fare un passo indietro, mentre l’istinto ti urla alle orecchie di attaccare a testa bassa. Ovviamente questa buona volontà deve essere condivisa, così come la forza della rinuncia. Altrimenti si resta tutti al palo.
La politica permette di trovare una sintesi tra idee, sensibilità ed orizzonti diversi, anche ricorrendo alla mediazione e al compromesso. La parola, se ben dosata, riesce a coprire le distanze o a renderle tollerabili. Beninteso che su alcune questioni fondamentali, di principio e di coscienza, la negoziazione non è possibile.
Però se dieci persone, dentro una stanza, la pensano tutte esattamente allo stesso modo, oltre ad essere una gran noia rendono superflua ogni attività politica. Nella vita di tutti i giorni lo scenario dell’armonia totale è altamente inverosimile. E siccome la politica dovrebbe riprodurre le situazioni della vita, una società dove tutti siano d’accordo suona irreale e sinistramente autoritaria. Se non si è disposti a rinunciare ad un po’ di sé, la tentazione è quella di abbandonare il tavolo e parlare solo con chi ci dà ragione. Vengo al dunque. Ho dato un’occhiata al proliferare di partiti e movimenti indipendentisti presenti in tutta Italia. Ce ne sono ovunque. In Liguria, in Sicilia, in Piemonte, persino in Molise, dando per sottintesi quelli della Sardegna. Da qualche parte hanno tradizione ultradecennale, da altre storia più recente. Sono forze politiche pienamente legittimate e hanno un obiettivo pratico pienamente legittimo, che lo si condivida o no. Questo non è in discussione. Più o meno tutte rivendicano la peculiarità della loro storia, sottolineano la distanza da Roma, contestano le inadeguate forme di rappresentanza e il non senso di quell’astrazione che sarebbe l’Italia. Fanno manifesto politico delle loro specificità e dell’avversione verso lo Stato centrale, che definiscono tirannico e schiavista, perciò vedono l’unica via d’uscita nell’indipendenza. Vi ripeto cose risapute, scontate. Facciamo ora un po’ di fantapolitica. Se l’indipendentismo venisse diffusamente percepito come la soluzione ai problemi dalla maggioranza dell’elettorato, la prospettiva sarebbe il ritorno all’Italia degli Stati regionali che ha caratterizzato gran parte della nostra storia sino all’Unità. Potrebbe essere un bene o un male, non lo so e non mi va di emettere sentenze. Quel che mi chiedo, però, è: questa corsa a rimpicciolire le unità amministrative si fermerebbe alla dimensione regionale o la scala si ridurrebbe ulteriormente? Sassari e Cagliari si sentirebbero parte dello stesso Stato sardo? Prendetela con tutta l’ironia del caso ma giorni fa, sulla bacheca di un amico giornalista sassarese, è divampata una furiosa polemica perché il coraggioso collega ha messo in discussione la sacralità di un’icona del mondo cagliaritano: Gigi Riva. Sappiamo bene che le differenze esistono in un ambito apparentemente omogeneo. Dove vivo io, in Gallura, è nato un movimento che vorrebbe ottenere l’indipendenza dal resto della Sardegna e, proprio in questi giorni e per gli stessi principi, si è rimesso in moto un comitato politico che tenta di riesumare la disciolta e fallimentare Provincia con capoluogo a Olbia e Tempio Pausania. Per chiudere il ragionamento, io non so dove ci possa portare questa corsa a ridurre, frammentare, accentuare le diversità, questa rinuncia a voler essere parte di un sistema per andare ciascuno per conto proprio. Col massimo rispetto per i movimenti indipendentisti, io non mi vergogno di considerarmi italiano e sardo al tempo stesso. Datemi dell’autocolonizzato, del traditore, del rinnegato, del sardignolo. Non me ne importa. Mi sento italiano proprio perché voglio considerarmi parte di un complesso, tenuto assieme dai valori della Costituzione. E se dentro questo sistema si possono distinguere storie, interessi e orizzonti diversi, questo non significa che si debba rinunciare a stare assieme e a colmare le distanze col potere della parola e con la politica, la cosa più alta che abbiamo.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design