Non ci credete? Allora vi racconto di quando mi legarono a una sedia al Bernabeu di Madrid. Io di questa faccenda dell’11 luglio 1982, 3 a 1 al Santiago Bernabeu contro la Germania Ovest, Italia campione del mondo, ricordo soprattutto la questione dell’antisfiga. Dunque, le cose andarono così. Io avevo smesso di seguire il calcio nel 1965, quando Omar Sivori aveva lasciato la Juve per il Napoli. Sivori che buttava la maglia bianconera alle ortiche mi accoppava due gioiose certezze che avevano a lungo accompagnato il fanciullino che c’era in Filigheddu: Sivori e la Juventus. Separarli fu esiziale. La delusione virale coinvolse l’intero football nazionale e internazionale. Già dall’anno successivo ignoravo tutto delle nostre squadre e di quelle degli altri. Dei mondiali me ne fottevo alla grande. Ero e tuttora sono uno dei pochissimi italiani maschi (almeno credo) sostanzialmente disinteressati al calcio. All’inizio di quel mondiale 1982 avevo quindi già perso ogni reminiscenza del passato e ogni interesse per il presente del pallone. Questo rendeva felici i miei colleghi di lavoro perché quando giocava l’Italia ero uno di meno con il quale bisognava scannarsi per avere la giornata o almeno la sera libera. Però mi sembra di ricordare che non ci fosse grande entusiasmo, all’inizio, per quell’Italia. Ho il vago ricordo di uno 0 a 0 con la Polonia che aveva fatto scuotere la testa ai milioni di commissari tecnici che circolano in Italia (a Sassari, centinaia) e altre partite così, pallidine, giocate in alcuni dei 17 stadi messi a disposizione dalla Spagna post franchista che cercava di rifarsi un buon nome nel consorzio occidentale. Sinché non si arrivò a Italia-Argentina in un giorno che io avevo casualmente libero: decisi quindi di guardare la partita con gli amici per poi andare tutti insieme non ricordo dove. L’Italia vinse 2 a 1. Mi guardarono strano. Uno mi disse -Tu è la prima volta che guardi i mondiali con noi, vero? Le altre partite dove le hai seguite, nella tua redazione? -Veramente non le ho seguite. Si guardarono ancora tra loro. Sino a quando uno di loro prese in mano la situazione. Era il peggiore del gruppo. Pensate che era convinto di morire per lo stress psico-cardiaco dei mondiali e guardava le partite nascosto dietro una porta socchiusa, dalla quale ogni tanto occhieggiava cauto se il pallone circolava al centro campo, ma quando si avvicinava a una delle due reti allora si riparava dietro la porta e si tappava le orecchie. Era superstiziosissimo. -Siediti esattamente dov’eri seduto prima – mi impose. Poi chiamò una sua sorella che aveva una macchina fotografica, fece risedere tutti gli altri ai loro posti, lui si nascose dietro la porta e disse alla ragazza di scattare. L’indomani consegnò a tutti noi una stampa della foto e ci ordinò -Alla prossima tutti allo stesso posto. -Ma tu sei matto! Primo non ho voglia di rompermi le balle guardandomi un’altra partita, secondo non so se potrò avere il giorno libero dal lavoro. Mi guardò scuotendo le spalle con un sorrisino, come stessi facendo uno stupido scherzo. E devo dire che anche gli altri la pensavano così. Così per Italia-Brasile mi ritrovai sulla stessa sedia (neppure un divano, una poltrona o un cuscino buttato sul pavimento: la sorte mi aveva riservato proprio una legnosa e angolosa sedia). Lui con la foto in mano controllò che fossimo tutti a posto e mentre iniziava la partita, si ritirò a spiarla dietro la porta. Vincemmo 3 a 2. Cercai di ribellarmi per Italia-Polonia, ma fui costretto a sorbirmi la doppietta di Rossi e il relativo 2-0 che ci portò al Bernabeu per la finale contro la Germania Ovest. 3 a 1, ricorderete (Rossi, Tardelli, Altobelli). E mentre Zoff prendeva la coppa dalle mani di Juan Carlos e Pertini rimirava soddisfatto, il mio amico mi guardò solenne e mi disse -Ora sei libero.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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