Disapprovo la persecuzione dello studente piemontese che commercia merendine. C’è un’antica tendenza della Scuola italiana a reprimere i giovani che, a volte discostandosi dalla lettera dei programmi, affrontano schemi di comportamento e situazioni che riproducono la vita reale, quella a cui la scuola dovrebbe prepararli. Io, a esempio, a distanza di poco meno di cinquant’anni, ancora soffro per un grave torto di cui fui vittima al Liceo Azuni di Sassari. Accadde che il preside professor Gaetano Mezzacapo venisse avvertito dalla bidelleria centrale dell’atrio che urla e altri rumori di folla provenivano dall’ala delle sezione A, un lungo corridoio che ospitava le classi dalla quarta ginnasio sino alla terza liceo. Accorse e ci sorprese nel bel mezzo del rush finale di trotto montato. Le corse di cavalli erano un innocente passatempo che mettevamo in piedi specie in alternativa a certe lezioni di un docente che, dopo decine di “professò, posso andare in bagno?”, non si accorgeva che la classe era semideserta. O fingeva di non accorgersene. Per passare il tempo in attesa dell’ora successiva, organizzammo così queste gare. Semplici, innocenti, dividendoci per corporatura in cavalli e fantini ed escludendo il trotto su sulky, anche se un ingegnoso ripetente di terza liceo (ripeteva molto, infatti me lo ritrovai compagno di classe quando in terza finalmente ci arrivai anche io) ci propose il progetto di un agile carrozzino a due ruote da produrre in serie, smontabile rapidamente per nasconderlo all’occorrenza. Ma scartammo la proposta per non appesantire troppo una pista capiente e tuttavia limitata. Io, a causa della mia corporatura, ero prevalentemente fantino e quel giorno montavo la mia cavalcatura preferita, che reggeva molto bene il trotto battuto: un frisone morello di Giave, figlio di un ferroviere ma sostanzialmente di origine contadina, razza solida e tenace, poco adatta ai brevi percorsi di velocità ma di fiato lungo e forte, quanto di meglio si potesse chiedere per la specialità del trotto montato che prevedeva, al contrario del galoppo, almeno quattro percorsi di corridoio. (Nel galoppo c’erano due categorie: un corridoio, corsa molto emozionante dove alle volte i fantini si scambiavano frustate, e due corridoi, meno serrata ma ugualmente tesa). Eravamo in cinque o sei a gareggiare e se non mi sbaglio ero piazzato piuttosto bene e incitavo la mia cavalcatura con scappellotti e colpi di frustino – me ne ero procurato uno di vimini intrecciati, dolorosissimo, che gli altri fantini mi invidiavano -, cosa che faceva incazzare la cavalcatura che prometteva ritorsioni al termine della gara. Aveva un fisico per il quale mi avrebbe facilmente fatto il culo a tresette, ma l’importante in quel momento era vincere. La pista era fiancheggiata da due muraglie di folla clamante. C’erano anche studenti di altre sezioni e ciascuno aveva il suo cavallo da incitare con urla, complimenti, insulti, promesse e minacce. Eravamo all’ultimo giro quando ci trovammo la pista sbarrata. Tirai le redini giusto in tempo per non travolgere il professor Mezzacapo che coraggiosamente si era posto al centro del corridoio poco prima del traguardo, incurante di quello che gli sarebbe potuto accadere se noi fantini non fossimo stati capaci di trattenere le nostre cavalcature ormai scatenate nella selvaggia volata. Per fortuna non accaddero disgrazie. Il preside ci fece smontare dalle cavalcature, ci mise in fila, con due urlacci rimandò il vasto pubblico nelle rispettive classi e ci guardò severo. -Desole, Filigheddu, Simon e Porcu. Naturalmente c’eravate anche voi in questa vergognosa cagnara. -Professore, noi… -Zitto, zitto per carità perché secondo quello che dici io non solo ti sospendo da tutte le scuole del regno (ogni tanto gli scappava) ma ti prendo anche a pedate nel sedere con mia grande soddisfazione. E poi ti consegno a quel pover’uomo di tuo padre perché concluda il lavoro a casa. Io a voi vi disperdo, razza disperata di fannulloni… Eccetera eccetera come da repertorio quando ci beccava in flagranza di rottura di coglioni, come borbottava quando non potevano sentirlo studentesse o insegnanti donne, perché con le donne si comportava da quello che sostanzialmente era: un gentiluomo napoletano di antica e profonda erudizione classica. Il professor Mezzacapo aveva una debolezza. Dei baffetti vibratili che lo smascheravano se gli veniva voglia di ridere. Dopo tanti anni, specialmente noi ripetenti, avevamo colto questo indizio e avevamo anche classificato la sua etica delle punizioni. Se erano mancanze relative al rispetto di fondo che si deve a docenti (soprattutto), a bidelli e bidelle e, giù nella gerarchia, anche a compagne e compagni di scuole, le punizioni erano severe. Se tu a esempio, per dire la cosa più stupida, facevi un gavettone a qualcuno non succedeva niente, ma se lui intuiva che dietro quel gavettone c’era una volontà di prevaricazione, intimidazione o roba del genere, bullismo si direbbe ora, il professor Mezzacapo si incazzava come una biscia ed eri davvero nei guai. Ma non succedeva quasi mai. Per cose tipo le corse dei cavalli, invece, nonostante il casino massimo che provocavano, dopo averci strapazzato tendeva a perdonare, anche perché sapeva che le sospensioni, per gli ultimi come noi, erano soprattutto giorni di vacanza che trascorrevamo intorno all’edificio della scuola cercando di rompere le balle da fuori agli insegnanti. A meno che non fosse già primavera o ancora autunno e allora andavamo a farci il bagno a Balai. Insomma, io ho ora il sospetto che molte di quelle cose il nostro preside a suo tempo le avesse fatte anche lui. Una volta che glielo chiesi quando io ero già grande e lui in pensione, rimase sul vago. Ma mi accorsi che ricordava a menadito tutta la campionatura dei reati da noi commessi e li giudicava secondo il grado divertimento che gli avevano provocato. Comunque, a vederci fintamente contriti, cavalli e fantini con il frustino in mano, ci accorgemmo da un movimento dei baffetti che gli scappava da ridere e che la cosa stava per concludersi senza gravi conseguenze. Ma fu lì che il diavolo ci mise la coda. Belzebù, nella fattispecie, era un rappresentante del personale non docente, non dico se uomo o donna perché non voglio che si capisca chi era, sporcare per sempre la sua memoria e gettare vergogna sulla sua discendenza, un maledetto ruffiano/a, di quelle cascette subdole che ridacchiava come un kapò a Mauthausen. Questa persona, insomma, si avvicinò al preside e gli mormorò qualcosa all’orecchio. Il professor Mezzacapo divenne rosso come un pomodoro e poi pallido, il viso gelido, i baffi immobili, come quando era davvero incazzato. -E quindi c’era anche un giro di scommesse? -Professore, noi… -Zitto, delinquente. E magari le corse erano anche truccate. Insorgemmo come un solo studente -No, questo non… -Zitti o vi butto dalla finestra. Comunque eravamo nell’ammezzato e non ci saremmo fatti male. Però chinammo il capo mentre lui ci guardava schifato. -Fuori i soldi! Cavammo di tasca, cavalli e fantini, un po’ di monete e qualche raro biglietto. -Ora voi questi li restituite a tutti i vostri compagni e domani vi presentate a scuola con i vostri poveri genitori. -Mio padre a quell’ora sta lavorando sulla Chilivani Olbia- se la tentò la mia cavalcatura. -Io a te ti disperdo a pezzetti nelle campagne desolate dalle quali provieni qui ogni giorno rubando il pane ai tuoi fratelli e coltivando speranze ingiustificate nella tua famiglia. Scalpitò un pochino ma stette zitto. E il preside continuò -Tre giorni di sospensione… Ci guardammo con malcelato sollievo, ma lui, perfido, aggiunse -… con obbligo di frequenza. E fu la fine. Ecco, io ancora mi chiedo. Perché era disposto a perdonare sul gran casino della corsa ma non sulle scommesse, peraltro, vi giuro, non truccate? Non erano le scommesse il logico corollario di una corsa di cavalli come avveniva nel mondo vero, degli adulti, che la scuola doveva prepararci ad affrontare? E lo stesso mi chiedo per il commerciante di merendine, vittima anch’egli di crudeli pregiudizi e di miopi criteri educativi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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