Mentre in Italia si discorre di mutande da mettere alle statue, una svolta epocale sta per investire l’Iran, il grande paese dell’Asia centrale, ricco di storia e di cultura, che ha storicamente svolto un ruolo di guida dei paesi di confessione sciita. La coalizione moderata, guidata da Rohuani, ha infatti vinto le tanto attese elezioni politiche, inaugurando una nuova e promettente stagione per il suo grande paese. Il grande polverone polemico sollevato sulla questione della copertura delle statue in occasione della visita del leader iraniano in Italia, ha fatto perdere di vista l’importanza di un accordo epocale tra due grandi paesi, teste di ponte di due mondi diversi ed in conflitto tra loro, quello occidentale e quello orientale. L’opinione pubblica italiana, invece, è stata indirizzata verso quello che è, in proporzione, un semplice dettaglio rispetto ai cambiamenti in atto in Iran. Il diavolo si nasconde nei dettagli, verrebbe da dire. Un diavolo che spunta con tanto di corna, coda e zoccoli nel sentire certuni politici, che mai hanno trainato la cultura, settore fondamentale per l’Italia, né con azioni e ancora meno con l’esempio, tirare in ballo la sacralità dell’arte. Al netto del fatto, certamente criticabile e persino increscioso, resta l’impressione che il sollevamento esagerato della polemica, in epoca di scontri pretestuosi tra culture, fosse funzionale ad ostacolare un rapporto di collaborazione tra paesi per poter proseguire con la retorica dell’uomo nero e cattivo islamico. Questo sulla pelle delle genti dei due popoli, perché il benessere si fa con gli scambi commerciali e i rapporti di collaborazione, non con le guerre. Infatti l’Iran è da sempre nel mirino delle potenze occidentali. Più volte sottoposto a sanzioni commerciali e a minacce di guerra, lo Stato persiano, forse per il suo peso economico e militare, ancora non ha subito il destino di distruzione e devastazione dell’Iraq, dell’Afghanistan, della Siria. Giova ricordare, per brevi tratti, da dove nasce questa fama di stato “canaglia” che per primo gli Usa hanno affibbiato allo Stato persiano. Tutto iniziò quando i leader iraniano Mossadeq, nel 1951, decise di nazionalizzare il petrolio che fino a quel momento veniva gestito dalla compagnia petrolifera inglese, l’Anglo Iranian Oil Petrol, scatenando una guerra diplomatica con l’intera Europa. Lo scaltro Churchill pensò bene, a quel punto, di far passare l’Iran come paese filo-russo. Cosa naturalmente non veritiera, ma che produsse, in piena guerra fredda, la predisposizione di un piano internazionale guidato dagli Usa per far cadere il leader riformista iraniano e far ritornare lo Scià filo-occidentale, con tanto di compagnie petrolifere inglesi e americane, le famigerate Sette Sorelle, di nuovo al loro posto. Ne seguì un regime reazionario e filo-occidentale che represse ogni manifestazione di dissenso popolare. Un tentativo di riforma agraria produsse un generale impoverimento della popolazione. Il potere religioso, tradizionalmente molto forte in Iran, cominciò così a far sentire la sua voce, guidando le proteste e le rivolte. Anche l’esercito, braccio armato della dittatura, ormai, si rifiutava di sparare ai concittadini. Fu così fino al ritorno da Parigi dell’Ayatollah Khomeini, che sancì la rivoluzione del 1979. L’Iran tornò, per così dire, agli iraniani. Tuttavia il ruolo del potere religioso nella rivoluzione era stato determinante, al punto che si apriva una nuova stagione di conflitti con il potere laico. Nel frattempo, arrivò, nel 1980, la cosiddetta “guerra imposta”. Allo scopo di indebolire le due potenze maggiori della regione mediorientale, l’Occidente pensò bene di istigare l’Iraq dell’ineffabile Saddam Hussein contro l’Iran. Usa, Francia, Regno Unito, le petrolmonarchie arabe sunnite e persino la Russia appoggiarono apertamente il “laico” Hussein contro l’Iran teocratico, con il risultato di una lunghissima, crudele ed inutile guerra. In quel frangente si distinse, nel mondo occidentale, l’Italia, che negò all’Iraq la vendita di armi nel periodo bellico, e questo va visto come antefatto non casuale con gli attuali vantaggiosi accordi tra i due paesi. L’Iran, galvanizzato dal sentirsi solo contro tutti, sostenne l’urto delle milizie irachene. La guerra si concluse dopo 9 anni e oltre un milione di morti, con un sostanziale pareggio, ma con una vittoria diplomatica dell’Iran. Si scoprì poi, con lo scandalo “Contras-Iran”, che gli americani fornivano armi anche agli iraniani, come del resto facevano i russi e i cinesi. Business are business. Gli unici paesi che sostennero l’Iran, ovvero la Libia e la Siria, pagheranno poi a caro prezzo il loro mancato allineamento con le potenze della terra. Il destino di Saddam Hussein, invece, amico dell’Occidente all’occorrenza, lo conosciamo tutti. E’ dunque dagli anni ’90 che l’Iran, nonostante l’accerchiamento militare e gli embarghi commerciali, prosegue nel suo cammino per migliorare le condizioni di vita del suo popolo. La protesta popolare, infatti, oggi è rivolta verso gli eccessi della teocrazia, rappresentata, tra le altre cose, dalle odiose disparità sociali a cui sono sottoposte le donne. Lo “stato canaglia”, in questi anni, si è attirato gli strali, in particolare, di americani, francesi e inglesi, per via soprattutto dell’utilizzo di tecnologia nucleare per l’integrazione delle fonti fossili che potrebbe, in teoria, avere anche un utilizzo bellico. Ad Israele è consentito addirittura avere armi nucleari; all’Iran, circondato da basi militari americane negli stati confinanti, neppure centrali per la produzione di energia nucleare. Due pesi e due misure. Tuttavia, molto recentemente, l’Iran di Rouhani è riuscito a fare breccia nella cortina ferrea dell’Occidente e a stabilire accordi per l’utilizzo dell’energia nucleare con gli Usa di Obama. Un risultato notevole se pensiamo che fino ad oggi l’accerchiamento nei riguardi del paese persiano era quasi totale, e gli unici rapporti commerciali con l’Occidente erano limitati in particolare all’Italia e alla Germania. Questo breve cenno di sintesi storica serve per capire quanto lungo possa essere il cammino di un paese verso la stabilità, e quale ruolo, fondamentale, può giocare il contesto internazionale, gli accordi di pace, le buone relazioni tra i popoli. La vittoria dello schieramento riformista, in Iran, va guardata con un moderato ottimismo, in considerazione anche del buon numero di donne elette in Parlamento. Con la pazienza che deriva dal lungo dualismo con il rigido potere religioso del paese, la conferma di Rouhani potrà garantire quella solidità governativa indispensabile per portare avanti un programma di riforme economiche e sociali. Ecco perché la visita di Rouhani, in Italia, manifestazione di una più generale politica di apertura con l’Europa, ha rappresentato un tassello fondamentale, oltre che per reciproci vantaggiosi scambi economici, anche verso un miglioramento sensibile della situazione internazionale. Per noi è facile fare gli splendidi amanti dell’arte (a parole). Ma per chi in Iran lotta per la libertà, non ha molto tempo da dedicare ai diabolici dettagli. Se la copertura delle statue può essere servita a non dare armi propagandistiche in mano ai conservatori e ai teocrati persiani, che sia pure benvenuta. Non si tratta, naturalmente, solo del destino di un paese lontano, ancorché grande ed importante. Non si tratta solo del destino di 80 milioni di abitanti, di uomini, donne, vecchi e bambini. Si tratta del destino dell’umanità intera, considerato che il medio oriente, a causa soprattutto della presenza dei più grandi giacimenti di combustibili fossili della terra, è da diversi anni la zona più contesa e instabile della terra, da dove potrebbe partire la miccia per una guerra mondiale. Ecco perché il diavolo si nasconde nei dettagli, ovvero, nelle mutande da mettere alle statue.
Foto tratta dal sito Spaziotransazionale.it.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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