La notte del 12 agosto fa ho fatto un lungo giro per la Costa Smeralda. Cercavo di capire, da alcuni empirici parametri sviluppati negli anni, se questa prepotente ripresa del turismo di cui riferisce la stampa la si possa vedere e toccare. Un mese fa le aspettative sembravano meno ottimistiche, ma poi la stagione è decollata e ora sembra volgere verso risultati insperati. Credo sia un dato di fatto e non un’invenzione delle cronache: un invito a cena ricevuto o mancato può non di rado decidere l’esito di un resoconto giornalistico. Un dato di fatto, dicevo, che ci porterà a considerazioni di più ampia portata, nelle righe seguenti. Non credo di aver visto molte altre volte una così fitta concentrazione di yacht in rada a Cala di Volpe. Secondo il tabloid inglese Daily News, in quello spicchio di mare si è radunato il più ricco patrimonio mondiale della nautica da diporto. Ho gironzolato per Porto Cervo, ho sostato alla chiesa Stella Maris per avere una visuale completa della Marina Nuova: moli completamente occupati, compresi quelli del Molo A riservati ai panfili dai cinquanta metri in su. Possiamo discutere, certo, su quanto possa realmente incidere sull’economia locale questo turismo che viaggia sul jet privato e alloggia su yacht attrezzati come un villaggio vacanze e, dunque, senza grandi rapporti col territorio circostante. Però va detto che chi arriva via mare spesso ha anche un valido appoggio a terra, cioè una o più ville nelle quali trovano occupazione decine di sardi. E comunque c’è dell’altro, oltre ai nababbi approdati sulle loro dimore galleggianti. Vent’anni fa, ricordo che nella notte di ferragosto una colonna ininterrotta di auto lunga da Liscia di Vacca ad Abbiadori, cioè una decina di chilometri: gente che spingeva per entrare nelle discoteche e nei ristoranti. Questi ingorghi oggi non li si vede più, ma ad interpellare ristoratori ed albergatori – anche quelli dalla lamentela automatica – anche senza questa gran massa di traffico cafone la ripresa è evidente, dimostrata dai numeri dei registratori di cassa. La gente è tornata, la Costa Smeralda piace ancora. Sono ricominciati anche i furti: in un solo giorno, la scorsa settimana, una denuncia per un ammanco da 70 mila euro in una villa del Pevero Golf Club, un altro da novantamila alla Marina di Porto Cervo. È chiaro che questo appeal è sfruttato solo per una minima parte rispetto ai benefici che tutti potremmo averne. Le stagioni sono troppo brevi, le multinazionali cercano di massimizzare i profitti con periodi di apertura sempre più limitati, le amministrazioni locali non hanno la forza e forse neppure l’interesse per indurre questi altisonanti interlocutori ad adottare politiche diverse.
Peraltro le amministrazioni non sono mai capaci di programmare col dovuto anticipo un calendario di eventi che possa spostare un certo flusso di visitatori: se andate in una qualunque località alpina a gennaio, troverete un elenco di intrattenimenti già perfettamente dettagliati per l’estate successiva. Da noi, invece, si presentano guide turistiche a fine giugno (spacciandole per iniziative rivoluzionarie) e ogni rassegna fluttua sempre in una serena incertezza. Ha persino ragione Briatore, quando dice che mancano piste ciclabili e percorsi pedonali (altri lo hanno detto prima di lui, ma se lo dice lui fa notizia). Però la gente in Costa Smeralda ha ricominciato ad affluire, nonostante tutto. Perché? Perché il mare della Sardegna e la sua complessiva bellezza valgono da soli il salasso del traghetto e la mancanza di servizi ormai indispensabili. Intendiamoci, sui servizi: non sono certo gli stabilimenti balneari dentro ai quali infilare i bagnanti, come polli in batteria. A chi considera la spiaggia solo l’anticamera di un tuffo, quel tipo di occupazione potrà anche essere gradita. Ma quella è roba da Rimini o Forte dei Marmi, noi siamo un’altra cosa. E le nostre spiagge sono un’altra cosa. La gente viene in Sardegna e in Costa Smeralda perché noi non siamo né Rimini né Forte dei Marmi, con tutto il rispetto dovuto. Vengo alla conclusione. Se tornate alle cronache estive di tre, due o un anno fa, troverete che della Costa Smeralda si parlava per i piani di sviluppo vagheggiati dall’Emiro del Qatar e degli incontri con il sindaco di Arzachena. Si immaginavano nuovi alberghi, nuove ville ed altro cemento sul mare. La crisi del turismo era al suo apice e, come sempre, la bassa fortuna di un tempo sfavorevole si pensa di combatterla col cemento, anche se quello già versato è persino in eccesso rispetto a quel che servirebbe. I costruttori tirano l’acqua alle loro betoniere e chiedono metri cubi, politici e sindacati si schierano comprensibilmente con loro. Non ci si ingegna per capire come si potrebbe rendere fruibile una meta turistica oltre il bagno agostano. No, nel caso del piano del Qatar si pensò di recingere l’oasi di Liscia Ruja con uno sbarramento di villette ed un parco giochi acquatico da riviera adriatica. Non si è fatto nulla. Ma – tu guarda i miracoli! – la gente ha ricominciato ad affollare la Costa Smeralda anche senza quel nuovo cemento. E se la Sardegna salverà il proprio turismo lo dovrà proprio alla capacità di saper preservare, quanto più possibile, i propri paesaggi, valorizzandoli con un percorso da trekking o un itinerario ciclabile anziché con un condominio. Se tutto quel che sapete proporre è altro cemento, meritate solo un invito: meno fate e meglio è.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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