Però, dai, questa volta l’appiglio al cazzeggiamento è davvero esile. Sarebbe che il 7 luglio del 1943 nacque Toto Cutugno. Cosa te ne fotte? Aspetta. Era per dirti che tra gli anni Ottanta e Novanta, Toto Cutugno girava l’Italia insieme a Simona Marchini e Piero Badaloni con un programma che andava in diretta e si chiamava “Piacere Raiuno”. E ora ti voglio raccontare di quei memorabili giorni in cui la carovana approdò al teatro Verdi di Sassari. Non chiedermi l’anno esatto. Dovrei fare delle ricerche e non ne ho voglia. Diciamo che doveva essere il 1989 o il 1990. Il programma funzionava così: ogni settimana cinque giorni di permanenza nella piazza italiana di turno e giù da mezzogiorno con dirette a gogò e ospitate di personaggi locali e stralocali. Attaccavano con una sigla cantata da Cutugno della quale ricordo l’inizio: “Dalle Alpi agli Appennini e un po’ più giù…”; e anche il ritornello: “Piacere, piacere, piacere Raiuno, uno per tutti tutti per uno, poi con il coro facciamo casino…”. Insomma, roba dura, giusto per inquadrarti il contesto della narrazione. Nel mio giornale venimmo avvertiti per tempo e fummo tutti fieri che una volta tanto a rappresentare l’isola fosse stata prescelta Sassari e non Cagliari. Cioè, io manifestai il sospetto che l’intimo desiderio di leccare il culo al presidente della Repubblica, casualmente sassarese, non fosse estraneo alla scelta, ma mi dissero che ero antipatico. Allora ero responsabile del settore Cultura e Spettacoli e decisi che, siccome il programma aveva un’audience straordinaria e io dovevo pubblicare roba che facesse vendere il giornale, in quei giorni mi sarei accampato al “Verdi”. In redazione lasciai il mio vice, che era più bravo di me, e mi portai appresso un esperto redattore del settore del quale non faccio il nome: Pasquale. Pasquale si mostrò interessato soprattutto a un aspetto. -Ma è vero che viene anche Mino Reitano? Guardai la scaletta che la Rai ci aveva inviato. -Sì, ci sarà anche lui. Ma perché ti interessa tanto? -Così. Capii già dal primo giorno che la presenza di Pasquale avrebbe caratterizzato la permanenza sassarese della troupe. La sigla, della quale ti parlavo prima, era registrata ma il primo giorno Toto Cutugno decise di cantarla dal palco del Verdi per il nostro pubblico di invitati, in attesa dell’inizio della diretta. Fu una cosa imbarazzante. A Sassari non siamo tutti critici musicali con la puzza sotto al naso, però quella roba gridava vendetta a Dio. Tuttavia al termine, tra i tiepidi applausi degli astanti, Pasquale scattò in piedi urlando come un ossesso -Bravo, bravo! Bis! Bis! Quello lo prese sul serio e lo guardò con simpatia. Stava per accontentarlo ma per fortuna il regista fece cenno che stava per cominciare la diretta e Badaloni salutò il pubblico di Raiuno. Dissi sottovoce al mio collega -Pasqua’, non rompere i coglioni. -Perché? A me è piaciuto davvero. Poi andammo tra le quinte ad annusare i retroscena dello spettacolo e incontrammo Benito Urgu. Eravamo entrambi suoi amici e lui, oltre che straordinariamente intelligente, è di una simpatia travolgente. Pensa che quando faceva il personaggio di Desolina e io gli dissi che ho una figlia, allora neonata, che si chiama proprio così, lui si mostrò commosso. Qualche giorno dopo mi arrivò una cartolina di quelle con una donna nuda con delle piumette attaccate sopra le vergogne e tu per vederle devi soffiarci sopra: “Tanti cari saluti a te, alla tua signora e alla piccola Desolina”. Nel backstage c’era anche Tiberio Murgia, il quale era meno simpatico. Cioè, aveva il viziaccio di correggere le persone. Di quelli che se tu dici “a me mi”, ti guardano con l’aria di chi ne sa umbé e ti ammoniscono: “A me mi non si dice”. Due o tre di queste precisazioni le aveva fatte anche a Benito Urgu. Il quale è in realtà persona di cultura anche raffinata (che tiene accuratamente nascosta durante le sue esibizioni, per non rovinarle), ma che come tutti noi quando è tra amici parla liberamente usando dialettismi e sgrammaticature varie. Nessuno di noi, neanche Urgu, mandò affanculo Murgia sino a quando questi non si allontanò un attimo e Pasquale ne approfittò per dire a Urgu -Sai che Tiberio ti ha preso per il culo? Ha detto che sei un ignorante. Urgu ostentò noncuranza scuotendo e spalle. Io mi insospettii e chiesi a bassa voce al collega -Ma è vero? Quando l’hai sentito? -No, non è vero. Vediamo cosa succede. E qualcosa succedette. Perché Murgia poco dopo disse a Urgu -Non si dice “se andavo” bensì “se fossi andato”. E Urgu si girò come una colora e gliene disse tante e poi tante che Murgia temette che oltre a dirgliene volesse anche dargliene e si dileguò accampando scuse pretestuose. Il terzo colpo Pasquale lo fece con Mino Reitano, che lui aspettava impaziente. -Ma quando viene Mino Reitano? -E cosa cazzo vuoi che ne sappia io di quando viene Mino Reitano! – tentavo di fargli capire. Ma lui niente. Non vedeva l’ora. Alla fine arrivò Mino Reitano. Nel programma la diretta ogni tanto veniva interrotta per gli stacchi pubblicitari e il regista ne approfittava per organizzare il segmento successivo della trasmissione, spesso dando ordini anche al pubblico. Quella volta volle organizzare questa simpatica scenetta. Mino Reitano entrava da una delle porte in fondo alla platea e avanzava verso il palco. Il pubblico che lo riconosceva man mano balzava in piedi in delirio, sino a quando, arrivato alle prime file, gli spettatori gli balzavano addosso come fosse stato Elvis Presley, seppellendolo in un abbraccio e costringendo il personale della Rai a correre giù dal palco per liberarlo. Questa la sceneggiatura rapidamente spiegata al pubblico. Dopo di che il regista disse -Ora ci occorrono volontari che facciano i fan di Mino. Il primo a balzare in piedi fu Pasquale -Io! Riconosciuto come giornalista e trattato con un occhio di riguardo, venne subito accettato e gli venne affidato anzi un ruolo di prima fila tra le comparse. Doveva essere uno di quelli che saltavano addosso a Mino Reitano facendolo addirittura cadere in terra. Lo rimproverai -Ma sei matto? Noi dobbiamo tenere un atteggiamento di distanza, siamo cronisti, non possiamo metterci in mezzo a queste coglionate. -Ma perché, dai! Non c’è niente di male. Tutto andò come programmato. Arrivato sotto il palco seguito da una folla festante, Reitano venne circondato dal gruppetto di invasati capeggiato da Pasquale e il cantante finse di perdere l’equilibrio. Fu allora che con raccapriccio vidi Pasquale piegare il braccio destro e assestargli prima uno e poi un altro poderoso pugno su un fianco, all’altezza delle fluttuanti. Reitano abbozzò una smorfia di dolore ma, consumato uomo di spettacolo, si rimise in piedi, balzò sul palcoscenico e fece il suo numero. Pasquale tornò a sedersi accanto a me, che tenevo un atteggiamento gelido. Mi accorgevo che ogni tanto mi sbirciava di sottecchi, evidentemente si sentiva in colpa. Ma io zitto. Alla fine fu lui a rivolgermi la parola. -Sognavo di farlo da quando ho sentito per la prima volta “Italia, Italia”. -Ed è per questo che non pensavi che a Mino Reitano? -Sì- ammise a occhi bassi. Nel successivo intervallo Mino Reitano si avvicinò a noi e disse a Pasquale -Oh, senti, tu! Sai che mi hai fatto male? -Io, e perché? -Come perché? Mi hai dato due pugni sulle costole! -Io? Ma guarda che ti sbagli, è impossibile. Se non l’avessi visto con i miei occhi colpirlo e coronare il suo sogno, avrei testimoniato davanti a qualsiasi giudice sulla sua innocenza. Mino Reitano si convinse -Scusa, avrò visto male. Poi aggiunse -Sarà stato qualche altro stronzo. Forse non era del tutto convinto. Se capiterà qualche agenda che si presta, la prossima volta ti racconterò di quella volta che chiesi a Pasquale di intervistare Moana Pozzi e lui, dopo l’intervista, mi portò, sempre al Verdi, a conoscerla e ad assistere al suo spettacolo. Ancora inorridisco al pensiero di quello che combinò. Ma è anche possibile che leggendo questa roba Pasquale mi telefoni per bloccare la puntata successiva.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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