Può succedere che una sventura diventi la chiave del successo. A Marty Feldman è capito proprio questo. I suoi occhi fuori dalle orbite, lo strabismo accentuato erano frutto di una malattia alla tiroide. Eppure quegli occhi, per l’inimitabile Igor di “Frankenstein junior”, erano perfetti. Quel film, uscito alla metà degli Anni Settanta, gli regalò la fama mondiale.
Nato a Londra nel 1934, Feldman sognava di diventare trombettista jazz. Per lui si aprirono, invece, le porte della recitazione, reparto comicità. Insieme a un gruppo di amici conobbe la gavetta nei locali prima di trovare ingaggi in radio e televisione. Nel 1961 la malattia, il morbo di Basedow-Graves, cominciò a produrre i suoi effetti. E gli occhi di Feldman divennero quelli che tutti conosciamo.
Il suo show televisivo “L’occhio che uccide” arrivò anche qui in Italia prima dell’intuizione geniale di Mel Brooks che, nel 1974, scelse lui e Gene Wilder per quel capolavoro della comicità in bianco e nero che è Frankestein Junior. All’apice del successo, Feldman non poteva sapere che, per lui, il conto alla rovescia era già partito.
Marty Feldman muore il 2 giugno del 1982 in un hotel di Città del Messico, dove si trova per le riprese del film “Barbagialla, il terrore dei sette mari e mezzo”. Fatale un attacco di cuore, forse causato dai sei pacchetti di sigarette al giorno che, a volte, fumava, secondo quanto raccontò Mel Brooks, forse dall’aria rarefatta messicana, forse ancora dall0 spavento che si prese nell’incontrare in mezzo al deserto il vignettista Sergio Aragones, che girava un altro film nella stessa zona, vestito da polizotto e armato.
Sono troppo vecchio per morire giovane e troppo giovane per crescere, dichiarò a un giornalista una settimana prima della morte. Marty Feldman è sepolto a Los Angeles. Accanto alla tomba di Buster Keaton.
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