In ogni fiaba che si rispetti ci sono dei personaggi fissi: l’eroe, l’antagonista, l’aiutante, il donatore che compiono delle azioni, quelle che Propp chiamava funzioni: la ricerca, per esempio, che può essere della principessa, dell’oggetto magico. Per il capitano De Grazia l’oggetto magico è la verità.
Natale De Grazia era un ex capitano di corvetta che lavorava come investigatore nel Pool della procura di Reggio Calabria e indagava su crimini ambientali, la sera della sua morte si stava recando a La Spezia proprio per verificare i movimenti di alcune navi sospette. In particolare quelli di una motonave, denominata ROSSO, che si era arenata nella costa della Calabria dal 14 dicembre 1990. Un naufragio sospetto e anomalo, come quello di almeno di un’altra cinquantina di motonavi per le quali si riesce a identificare un comune denominatore: di tutte si rintraccia il punto di partenza, ma non quello di arrivo. Navi colate a picco nel Mediterraneo, in circostanze poco chiare, che scompaiono improvvisamente dai radar in zone problematiche per il recupero, che trasportano carichi ufficialmente innocui, ma ufficiosamente pericolosi come torio, manganese, derivati dalla lavorazione del petrolio e altri materiali tossici e radioattivi, insieme a cemento e polvere di marmo che secondo gli esperti vengono usati per assorbire la radioattività. Tutte navi molto vecchie.
Il sentore è che qualcuno prenda una di quelle navi, la porti a spasso sull’acqua e poi simuli il naufragio. L’imbarcazione cola a picco con tutto il suo carico e il gioco è fatto. Quando le cose si mettono particolarmente bene, si riescono a intascare anche i soldi dell’assicurazione. Del resto è, in maniera artigianale e fraudolenta, ciò che il Ccr (Centro comune di ricerca) a Ispra, sul lago Maggiore, aveva ipotizzato per lo smaltimento dei rifiuti tossici. In particolare quello che avevano chiamato il piano Dodos: Deep Ocean Data Operating con l’obiettivo di valutare lo stoccaggio di rifiuti tossici in ambiente naturale terrestre o marino. Si trattava di procedere con l’inserimento di scorie radioattive in missili-penetratori ed effettuare la loro eliminazione dentro i fondali. Sono molti i paesi che finanziano quelle ricerche, fra cui anche l’Italia, ma nessuno di loro vuole adottare per sé quel procedimento. Oltretutto la convenzione di Londra e quella di Bamako vietano lo smaltimento dei rifiuti in mare, meglio lasciar perdere. Almeno ufficialmente.
Quel 14 dicembre del 1990 nello spicchio di mare tra Capo Vaticano e le isole Eolie, sulla rotta che va a La Spezia c’è un vento robusto, quasi di bufera. Forza 7, dicono i meteorologi. Una motonave da carico è spinta da quelle raffiche potenti. La nave si chiama Rosso e appartiene alla linea Messina, dal nome dell’armatore che possiede la nave. Ignazio Messina, di Genova. La tratta sarebbe La Spezia- Napoli – Malta e ritorno. Dal mare viene lanciato un appello, la Rosso sta imbarcando acqua e pochissimo tempo dopo il comandante abbandona la nave. Ma quell’ammasso di lamiere, che dovrebbe inabissarsi nel Tirreno, improvvisamente si raddrizza e va alla deriva, seguendo il maestrale. Viaggia per un paio d’ore prima di incagliarsi a Formiciche al largo di Amantea.
Un abbandono troppo frettoloso da parte dall’equipaggio? Un myday prematuro rispetto a un naufragio già pianificato?
Ci si avvicinerà alla nave con molta cautela, quell’imbarcazione infatti prima si chiamava Jolly Rosso “la nave dei veleni”. La vicenda della Jolly Rosso si chiude definitivamente nel 2009 con l’archiviazione. Nel 2010 il nuovo procuratore Paolo Giordano, visto il picco anomalo di tumori nella zona, ordina di eseguire carotaggi sul fondo del fiume Oliva, nei territori intorno al Comune di Amantea. E la terra non solo non dimentica, la terra restituisce. Riconsegna infatti centomila metri cubi di fanghi industriali, del cesio 137, ma anche berillio, cobalto e rame. Nella località Valle del Signore, nel fiume Oliva, vengono a galla sarcofaghi in cemento pieni di rifiuti tossici di quasi certa provenienza della Jolly Rosso. La stessa nave che fu noleggiata nel 1989 per riportare a casa dal Libano 9532 bidoni di scorie tossiche, giunti dall’Italia, non si sa come, e rimasti lì fino a quando il governo libanese venne a conoscenza di quei rifiuti e ci chiese perentoriamente di riprenderci il nostro carico di morte.
È la punta di un iceberg. C’è sotto qualcosa di grosso, di inaccettabile. Nazioni del nord che non intendono smaltire i rifiuti tossici nel proprio territorio e individuano una discarica mondiale in quei paesi che, per la loro povertà, per le guerre, per la loro fragilità economica e politica se ne fanno carico. Un business spaventoso di crimini contro l’ambiente che, con accordi occulti, trascinano dentro Stati e Servizi Segreti. E dove trova ampi margini di movimento per sguazzarci dentro anche la criminalità organizzata, traffici illeciti coi quali ‘ndrangheta e camorra incrementano le loro entrate offrendo smaltimenti a prezzi concorrenziali rispetto a quelli legali.
Il capitano Natale De Grazia ha forti sospetti e si sta recando a La Spezia proprio per analizzare le carte di quelle navi partite e mai arrivate. È intenzionato ad andare fino in fondo, a condurre le indagini nonostante le pressioni e gli atteggiamenti ostili. Un uomo che conosce la delicatezza di quelle inchieste, ma è determinato a portarle avanti. È l’eroe alla ricerca della verità, succeda quel che succeda.
Il viaggio dalla Calabria a La Spezia è lungo, insieme ai compagni di viaggio fa una sosta per mangiare in un ristorante vicino a Nocera Inferiore. Riprendono il viaggio, il capitano si accascia su sedile e i colleghi pensano dorma. Ma quel respiro è troppo pesante, somiglia a un rantolo. Provano a svegliarlo, senza successo. Si fermano, adagiano il corpo sull’asfalto e tentano una rianimazione d’emergenza. Quando arriva l’ambulanza Natale De Grazia è già un cadavere.
Nel 1995 e nel 1997 due autopsie ufficiali hanno garantito che si trattava di morte naturale per arresto cardiocircolatorio. La terza autopsia, effettuata nel dicembre 2012, esclude incidenti cerebrovascolari e riconosce nel decesso unicamente una causa tossica: l’avvelenamento.
– È la mia ultima missione, ormai ho concluso il mio compito. Sarò a casa per il compleanno – aveva detto alla moglie prima della partenza.
E invece, in una storia che ha molti degli elementi relativi alla morfologia della fiaba, manca il più importante. Proprio quello che poteva connotarla come tale: il ritorno a casa dell’eroe.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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