Ci siamo appena lasciati alle spalle quattro anni di guerra che, a livello europeo, hanno sconvolto non solo l’assetto politico, ma hanno inciso profondamente sulla mentalità, sul costume e sulla visione di ciascuno. Ora è il momento delle agitazioni popolari che si diffondono in tutto il paese e hanno come causa immediata l’incessante rincaro del costo della vita. È già dal giugno del ’19 che ovunque folle esasperate saccheggiano negozi e impongono ribassi sui generi alimentari, i contadini in molte regioni occupano le terre incolte, si dà l’avvio a una serie di scioperi. Nel ’20, in pieno biennio rosso, lo sforzo dei sindacati socialisti raggiunge il culmine nel cercare di ottenere decisivi mutamenti tra operai e padronato. E i sardi, con una predisposizione naturale alla fiera ribellione, non balbettano il linguaggio della paura e non consentono a chiunque di comprimere e calpestare i loro diritti. Avevano mostrato chiare avvisaglie di quella dignitosa disobbedienza già quando si erano opposti con determinazione in occasione della rivolta de Su Connottu e dell’eccidio di Buggerru. Ma i morti sparsi sul campo in nome di quei diritti insindacabili sono già decomposti e non bastano, ora la lotta ne richiede altri. Adesso accade di nuovo
È l’8 maggio, loro sono riuniti davanti al palazzo della Sottoprefettura di Iglesias. Sono pacati e rispettosi, ma sono tanti. Chiedono la revoca del tesseramento dei generi alimentari. Ovvero di quella limitazione che, a partire dal novembre 1917, disponeva che ogni cittadino avesse diritto a 250 grammi di pane al giorno, 90 di pasta e 40 di riso. Il fabbisogno dell’esercito era infatti prioritario rispetto a quello della popolazione civile ed ecco che l’ingresso della tessera annonaria giunge salvifico a disciplinare la distribuzione dei viveri.
Loro chiedono, in buona sostanza, migliori condizioni salariali e di vita.
L’ingegner Andrea Binetti decide allora di decurtare parte del salario a un gruppo di operai, individuati tra quelli che hanno partecipato ai comizi. Un’azione dirompente che non insegue il mero risparmio di qualche lira in capo all’azienda ma è volta a ristabilire ruoli, tracciare confini e drenare entusiasmo dagli animi.
La situazione si prepara a degenerare.
La mattina dell’11 maggio, al primo turno delle 6, i minatori non si presentano nei pozzi, né a San Giovanni, né a Campo Pisano. Convogliano tutti a Monteponi, per poi dirigersi compatti verso il palazzo municipale, portando con loro l’ingegner Binetti suo malgrado. Quando quella folla arriva davanti al municipio è composta da circa duemila persone, un migliaio di minatori e altrettanti manifestanti che si sono uniti a loro durante il tragitto. E non si aspettano trovare ad attenderli uno spiegamento di guardie regie che, per impedire la rivolta, sparano prima in aria e poi sulla folla. Cinque operai abbandonano lì la loro vita, su quella piazza. Altri due, in condizioni gravissime, moriranno l’indomani. Dopo i funerali, a carico del Comune, si ha una recrudescenza delle proteste affinché quelle sette vite immolate per la causa non siano cadute invano. La Federazione dei Minatori presenta una proposta per impossessarsi definitivamente del riconoscimento di indispensabili indennità. Finalmente il 9 dicembre quell’accordo va alla firma.
La memoria è un compito doloroso, perché rende fresca la violenza passata, inclusa la conta dei cadaveri sparsi sul campo, a cui si è dovuti ricorrere per raggiungere l’obiettivo. Ancora più penoso perché ci mostra impietosamente come eravamo e l’ardimento che motivava il sacrificio delle lotte.
Ben lontano da quello che oggi ci fa aderire a uno sciopero solo se viene indetto di venerdì. Affinché ci schiuda un lungo weekend di riposo.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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