La fantasiosa versione dell’epilessia quale causa della morte di Stefano Cucchi o l’insufficienza miocardica contrattile acuta dovuta all’aumentata richiesta di ossigeno indotta dallo stress psico-fisico per la marcata agitazione di Federico Aldrovandi rappresentano un esempio di narrativa per ragazzi se paragonate alle cause del decesso di Giuseppe Mureddu che, per sfoggio di creatività e immaginazione dei periti, resta in testa nella classifica degli esperti di tutti i tempi. Il referto del perito ufficiale, prof. Marras, riporta testualmente la dicitura “Salvo ulteriori accertamenti, il giovane Mureddu si sarebbe ucciso ficcandosi un fazzoletto in gola” e nessun cenno al fegato ridotto in poltiglia dentro l’addome di quel povero ragazzo che, invece, verrà evidenziato in seguito nell’analisi di un secondo perito.
Giuseppe Mureddu era un pastore di Fonni e aveva 24 anni. Si trovava nel suo ovile in una strana e maledetta mattina di marzo, come ogni giorno, quando viene prelevato dagli agenti di polizia del commissariato di Orgosolo per essere interrogato in merito a una rapina stradale avvenuta circa un mese prima sulla Cuglieri-Oristano. Chissà se mentre si lasciava caricare sull’auto della Polizia senza opporre alcuna resistenza aveva avvertito, insieme allo sbalordimento, la percezione della catastrofe imminente. Giuseppe, infatti, non farà più rientro a casa. La situazione probabilmente inizia a sfuggire al controllo già durante il tragitto verso il Commissariato, ogni volta che risposte sbagliate o silenzi inopportuni facevano innervosire gli uomini in divisa.
Erano anni intrisi di lotta al banditismo, anni difficili in cui si attribuiva al fenomeno un carattere endemico proprio in Sardegna. Cosa che, peraltro, aveva indotto gli apparati di giustizia a ricorrere ad esemplari e spesso sproporzionate misure di repressione, dilatando nei responsabili dell’ordine pubblico la vocazione a definire banditi e delinquenti tutti quelli che si opponevano alla legge, senza sottilizzare troppo. Una politica criminale, sintomatica di retaggi medievali, dove la responsabilità penale collettiva sfociava in una criminalizzazione indifferenziata.
E così Giuseppe, pur non essendolo, era diventato un criminale. Senza possibilità d’appello. Quando scende dalla macchina della Polizia già non riesce a reggersi più sulle gambe. Nonostante ciò, circondato da orecchie sorde ai lamenti e alle richieste di aiuto, viene tenuto per 24 ore in commissariato e poi trasferito al carcere di Nuoro, dove le sue condizioni di salute subiscono un tale aggravamento da rendere tassativo l’intervento di un’ambulanza. Giuseppe si spegne durante il viaggio e, in seguito, il medico di guardia riferirà delle insistenze della Polizia affinché fosse resa ufficiale la versione di un decesso dopo il ricovero.
Non siamo più in emergenza banditismo e non accade solo in Sardegna che, in mezzo ai tanti ammirevoli operatori delle forze dell’ordine, si mescolino anche casi di esaltati che il solo possesso di un distintivo e una pistola d’ordinanza trasforma in novelli Clint Eastwood. E Riccardo Rasman, Stefano Consiglio, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi sono solo alcuni dei numerosi esempi.
La storia si fa carico poi di rendere giustizia, di riconoscere e forse di recuperare. Ma non ha il potere di restituire le vite abusivamente scippate in nome della giustizia.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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