“Sembra che io abbia l’appendicite. Sto tacendo su questo anche sorridendo. Perché spaventare i miei amici? Chi potrebbe essere d’aiuto?”.
È il 29 aprile quando il medico Leonid Ivanovich Rogozov, che partecipa a una spedizione su una base russa, comincia ad accusare i sintomi di un’appendicite acuta e affida la sua preoccupazione alle pagine di un diario. La possibilità di spostarsi per raggiungere un ospedale sono pressoché nulle, l’ambiente intorno impervio e proibitivo, staccato dal resto del mondo e avvolto nel crudele inverno artico. Nessuno dei suoi compagni di viaggio ha competenze mediche per fronteggiare l’emergenza: Alexandr Artemev è infatti un metereologo, Zinovy Teplinsky un meccanico e Vladislav Gerbovich il direttore della stazione.
Passano i giorni, ma gli antibiotici e gli impacchi freddi non riescono a impedire un aggravamento dei sintomi: la febbre è sempre più alta e i vomiti più frequenti. La perforazione del tratto gastro-intestinale è dietro l’angolo.
“Non ho dormito durante tutta la notte, fa male come il diavolo! Una tempesta di neve sferza la mia anima, gemendo come cento sciacalli. Ancora non c’è nessun sintomo evidente che la perforazione sia imminente, ma la sensazione opprimente di un presentimento mi attanaglia. Devo pensare all’unica via d’uscita possibile: devo operare me stesso”
Alle due di notte viene allestita una sala operatoria di fortuna che si avvale di personale improvvisato: il metereologo si trasforma in ferrista; il meccanico diventa il sostegno umano della lampada scialitica che con una mano regge sul campo operatorio per tutta la durata dell’intervento, mentre con l’altra orienta lo specchio indispensabile al chirurgo; il direttore della stazione si tiene pronto a una sostituzione qualora uno dei due sia incapace di reggere lo stress emotivo. Ma l’aspetto incredibile è che paziente e chirurgo coincidono.
L’intervento dura due ore, Rogozov è costretto a operare senza guanti per poter confidare più nel tatto che nello specchio, infatti quest’ultimo gli offre una veduta parziale. Sta scomodo e la posizione semiseduta, benché indispensabile per osservare meglio il proprio addome, è assolutamente innaturale. Arrivano al galoppo quelle maledette vertigini, insieme a una debolezza che non riesce a frenare. Suda abbondantemente. Ed è proprio quando non è più concentrato e accorto che sopraggiunge l’errore: Rogozov si taglia l’intestino cieco. L’operazione di sutura aggrava la stanchezza, l’intervento si prolunga oltre il tempo stimato e lui ogni tanto deve fermarsi per riprendere le forze e il controllo. A più riprese si sente venir meno.
Dopo un’ora e 45 angosciosi minuti Rogozov riesce a rimuovere l’appendice e si addormenta esausto.
Morirà quasi quarant’anni dopo, unico uomo al mondo ad aver compiuto un’operazione chirurgica completa su se stesso e contraddicendo così la teoria secondo la quale la persona più importante in sala operatoria è il paziente. O comunque smentendola a metà.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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