Un pezzetto di Massimo Troisi è rimasto cucito tra i ricordi indelebili. Il problema è capire quale. La sua bravura, la sua esilarante comicità o la sua inconfondibile tristezza o, meglio, l’apocundria, quella malinconia raccontata in una strepitosa canzone di Pino Daniele e che tenta di regalarci – con la musica e poche parole – quel misto di silente allegria che logora il destino di chi nasce nel sud della vita, tra i colori e le emozioni di un luogo caldo e dolce. Ma non solo. Troisi è stato, per anni, il filo conduttore tra me e Napoli, città che ho amato e amo ancora intensamente e le sue parole, le sue trovate, le sue smorfie, hanno accompagnato me e un’intera generazione. Da “Ricomincio da tre” al fantastico “Scusate il ritardo” frase poi utilizzata dai tifosi napoletani per celebrare il primo scudetto del Napoli, fino ad arrivare a quello che viene considerato un piccolo capolavoro “Le via del Signore sono infinite”. Il pezzo in cui lui e Benigni tentano di oltrepassare il confine (“Chi siete, quanti siete, cosa trasportate, un fiorino”) rimarrà per sempre nella storia del cinema. Ecco, dietro questo Massimo Troisi, dietro le battute (“Meglio un giorno da leone o uno da pecora? Facciamo mezzo da orsachiotto”) dietro i suoi bellissimi monologhi sulla caffettiera e sulla paternità e il successivo nome da dare al figlio neppure suo (“Massimilano, troppa libertà, Ugo esce represso, chiamammalo Ciro”) c’è anche un altro Massimo, quello da un cuore altalenante, di una timidezza compassionevole e di un grande amore per la sua città. Nonostante tutto. Ho sempre un pezzetto di Massimo Troisi da riguardare nel mio PC o tra le vecchie videocassette e nuovi DVD. Riguardatevi i primi film e capirete perchè, poi, è riuscito a dare quell’intensità unica nel suo purtroppo ultimo film: il postino. Dovete voler bene a Massimo Troisi perchè è stata una farfalla leggerissima che ha passeggiato dentro le nostre vite, regalandoci passaggi e volteggi bellissimi. Se ne è andato il 4 giugno del 1994. Sono passati ventuno anni. Eppure, a rivedere i suoi film, i suoi pezzi con la Smorfia (con Enzo Decaro e Lello Arena) quella trombetta scoppietante di Lello, quell’urlo “ Ue’ tu, Marì, Marì” quella faccia incredibile di Massimo che impersonava la Madona in maniera così leggiadra e profonda nello stesso tempo, sembra che tutto si sia fermato e lui continua ad essere qui con noi e noi con lui, attraverso i suoi occhi e il suo cuore, (“tu ‘o ssai comm’è fà ‘o core”) ripassiamo le sue battute, i suoi movimenti, il suo bellissimo modo di essere farfalla, leggera e colorata. Grazie Massimo per aver svolazzato dentro questo mondo. Io, quando ho voglia di sorridere e di riflettere non ho dubbi: ricomincio da te.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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