Il 2 luglio 1983, intorno alle otto della sera, il quartiere napoletano di Ponticelli è in agitazione. Sono sparite due bambine. Barbara Sellini, 7 anni e Nunzia Munizzi, 10 anni. Giocavano nel cortile tra i palazzi del quartiere. Alcuni amichetti le avrebbero viste salire su una Fiat 500.
Barbara e Nunzia vengono trovate il giorno successivo, intorno a mezzogiorno, dai carabinieri, in un canalone. I loro corpi seviziati e semicarbonizzati, legati insieme da una corda.
La caccia al mostro parte dalle dichiarazioni di un’amichetta delle due bimbe. Barbara e Nunzia avevano un appuntamento con un tizio grosso, capelli rossi e lentiggini. Si tratta di tale Corrado Errico, detto Maciste. Costui frequenta Ponticelli, vende crocifissi e madonnine e possiede una Fiat 500 scura. E’ lui stesso a confessare di essere un pedofilo. Nonostante ciò, gli viene consentito di disfarsi dell’auto da uno sfasciacarrozze senza che venisse prima esaminata dagli inquirenti.
Passano i giorni e la tensione sale. Altri due testimoni, una coetanea delle due vittime, Antonella Mastrillo e un ragazzino, attraverso una foto segnaletica riconoscono uno dei due uomni che si sarebbero intrattenuti con Barbara e Nunzia il giorno prima della scomparsa. Si chiama Vincenzo Esposito. Il suo alibi non regge ma non ci sono prove sufficienti per incriminarlo.
Il tempo passa, serve un colpevole. La madre di Barbara rivolge un accorato appello al Capo dello Stato, Sandro Pertini. Pochi giorni dopo, il 4 settembre 1983, spunta un supertestimone. Carmine Mastrillo, fratello di Antonella, era già stato ascoltato dagli investigatori, ai quali aveva detto di non aver visto niente di anomalo. Stavolta, invece, parla. E’ lui a scagionare Esposito e ad accusare tre giovani operai del posto: Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo. Sono stati loro, afferma Mastrillo, a prelevare le due bambine, abusare di loro e ucciderle. In un secondo momento, chiesto aiuto a un fratello dei tre, sarebbero tornati sul luogo del delitto per eliminare con il fuoco eventuali indizi. Secondo Mastrillo, sarebbero stati proprio i tre giovani a raccontagli tutto, subito dopo il delitto, in un bar.
I tre imputati si dichiarono innocenti fin dal primo momento. La testimonianza del superteste, in aula, si rivelò ricca di incongruenze. Le tempistiche portate avanti dall’accusa non sembravano proprio compatibili con la dinamica della vicenda. Vengono tutti condannati all’ergastolo. Per due volte, nel 2001 e nel 2012, chiederanno senza successo la revisione del processo.
I mostri sono sempre esistiti, non è un riflesso perverso dei nostri tempi. E anche i processi sommari sono sempre esistiti, così come la ricerca ossessiva di un colpevole, le pressioni dell’opinione pubblica e dei media. Forse il mostro di Ponticelli è rimasto a piede libero. E forse i tre operai incensurati condannati al carcere a vita sono vittime anch’essi. Capita che la Giustizia lasci spalancate le porte dell’incertezza. Al di là di ogni ragionevole dubbio.
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