So bene che, ormai, si tratta di questioni arcinote. Zuckerberg & soci sapevano, perlomeno a grandi linee, di come agiscono l’amigdala e la dopamina. Eppure mi chiedo: ci avete mai realmente pensato? Dico, vi siete mai soffermati a riflettere davvero, per il giusto tempo, su quella volta in cui eravate convinti di aver pubblicato (poco importa su quale social) il migliore post possibile – il più divertente , il più ricco di spunti, quello espresso meglio – e nessuno, dico nessuno, aveva messo un “like”? Come vi eravate sentiti, davvero? Lasciate stare con quanta maturità avete poi scacciato quel pensiero – allora e anche dopo, quando l’esperienza, ormai emotivamente affievolita, si è ripetuta, lasciando il giusto posto all’assuefazione. Ma quella volta, che vi era passato per la testa? Quali erano state le vostre emozioni? Lasciatemelo dire: avete paura a domandarvelo! Non volete sapere fino a che punto siete accalappiatori di attenzioni. Avrete notato da tempo che, sui social, tutti ricercano brevità, immediatezza; a volte, meglio semplici immagini piacevoli; qualcuno provoca, qualcuno cerca di scioccare, qualcun altro cade molto molto in basso. Altri ancora si accostano solo a ciò che sembra confermare il loro pensiero, o presunto tale. Ed è così che spesso si ingannano, travisano, vanno ad inquinare i pozzi a loro volta. Risultato? Pioggia di “like”. Commenti, addirittura, di ogni sorta. Favorevoli, contrari. Poco importa. Ma per voi, quella volta in cui sarebbero stati così importanti, neanche uno. Dite la verità: vi siete poi accodati all’andazzo generale? Quanti articoli avete letto per intero, da allora? Che ne è stato del romanzo che eravate così sicuri di voler scrivere, o ultimare? E quel saggio complesso, che tanto vi attraeva mesi fa, lo avete poi quantomeno sfogliato?
Sapete, in questo momento, una barretta di cioccolato al latte mi tenta, alla mia destra. È lì da ben 40 minuti, intatta. La mia fase premestruale mi suggerirebbe ben altrimenti! Vanità femminile e millantazioni di autocontrollo a parte, il punto della questione è che, nell’osservare quella barretta, quella promessa di gratificazione immediata, ho ripensato al cosiddetto test del marshmellow risalente agli anni ’70. Esperimento semplicissimo e molto interessante, sul quale vi invito ad informarvi, eseguito su cuccioli sapiens e su molte altre specie. Francamente, mi rifiuto di credere al determinismo assoluto di tale esperimento, su quello che sarebbe stato il futuro inesorabile di quei bambini. Ma potrei avere torto. Forse a 30, 40 anni, siamo tutti sicuri di saper rifiutare una banale caramella, vi siano o meno vantaggi maggiori conseguenti a tale rinuncia. Ma a tutti quei marshmellow alla dopamina che ci propinano ogni giorno, a tutti quelli che ci sanno tentare così bene, prima ancora che ce ne rendiamo conto, e dalla cui rinuncia davvero dipende il nostro avvenire, siamo certi di saper dire di no?
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
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Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
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