Chissà se Luisa sapeva che il 25 novembre si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. E chissà se conosceva la storia delle tre sorelle Mirabal, simbolo di questa ricorrenza. Erano tre donne coraggiose e cazzutissime, Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva e Antonia Maria Teresa. Tre donne domenicane impegnate a infastidire un uomo potente, Rafael Leonidas Trujillo, l’uomo che teneva in pugno il loro Paese, un dittatore. Lottavano per il più prezioso degli ideali: la libertà. Mariposas era il loro nome in codice. Erano farfalle. Così belle quanto facili da catturare. Finirono nel retino tutte e tre insieme. L’auto con i loro cadaveri fu trovata ai piedi di un dirupo. Una messa in scena che ebbe vita breve. All’incidente non credette nessuno e la censura del regime non riuscì a placare l’onda della rabbia popolare che montava. Le sorelle Mirabal, in realtà, erano state intercettate, torturate, uccise a colpi di bastone, riportate sull’auto e scaraventate nella scarpata. Oggi il mondo le ricorda, le tre farfalle Mirabal. E insieme a loro, ricorda tutte le donne vittime di violenza. Anche quelle che non sono finite in una bara, ma la morte se la portano dentro. Luisa forse questa storia non la conosceva, o forse si. Trovo giusto che oggi un pensiero vada anche a lei, che non ho mai conosciuto se non per quel che accadde alle sei del pomeriggio di quel 25 novembre di 11 anni fa. Luisa stava preparandosi per andare a lezione di ballo sardo. Doveva mettersi le scarpe. E le scarpe stavano sulla scarpiera nel balcone. Il buio nascondeva la campagna e quacos’altro che mai avrebbe potuto aspettarsi. Un fucile spianato contro il balcone. La rosa di pallettoni che centra la parete e un proiettile impazzito che esce dalla traiettoria e si incunea nella testa di Luisa. Doveva andare a ballare, quella sera. Era una mariposa anche lei. Come le tre sorelle Mirabal.
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