Mammina era una delle tante gatte e gatti che gironzolano nel cortiletto di casa mia reclamando la loro razione di crocchette o carne in scatola. Non era gatta da postare su Facebook: le si contavano le ossa e sembrava in perenne sofferenza, per di più aveva un fianco spelacchiato, conseguenza di una ferita procuratasi chissà come. Mammina non aveva un bell’aspetto. Diffidava del contatto umano. L’anno scorso, era ottobre, Maria cercò di convincerla che non c’era nulla da temere, perché vedendola ridotta male pensò di portarla dal veterinario. Tese la mano azzardando una carezza. Mammina reagì mordendola, la mano prese a sanguinare e due dita le si ingrossarono come salsicciotti. Passammo una giornata al pronto soccorso. Lei continuava a trafficare in giardino, spazzolando cibo dalle ciotole di Scrama, Anonymousa, Ettore e André, i quattro gatti ufficialmente residenti a casa mia. Maria non le ha mai fatto una colpa dell’aggressione. La chiamammo Mammina perché, nonostante il suo stato pietoso, era stata in grado di figliare. Da qualche settimana stava peggio del solito. Aveva vinto la paura di casa e ormai si serviva dalle ciotole dei miei gatti, sul pavimento del soggiorno, ma respirava affannosamente e i suoi riflessi si erano appannati. L’istinto l’aveva anche portata a prendersi cura, per un breve periodo, di un cucciolo nero pece che era stato abbandonato dalla madre naturale, un’altra delle gatte della nostra comunità. Ma al ruolo di mamma aveva dovuto rinunciare subito, perché malconcia com’era non poteva badare a quella peste che abbiamo chiamato Liquirizia. Una settimana fa abbiamo deciso di portarla dl veterinario. Daniela, la mia vicina di casa, per precauzione ha indossato i guanti da portiere di Angelo e l’ha afferrata per ficcarla dentro la gabbia. Non c’è stato bisogno di quella precauzione, perché lei si è lasciata convincere docilmente. Credo avesse capito che volevamo aiutarla. Il veterinario le ha diagnosticato un’ernia diaframmatica. Sarebbe a dire che gli organi, dentro il suo piccolo corpo da un chilo e mezzo, erano tutti incasinati, spostati rispetto alle loro sedi naturali. Il che le toglieva il respiro. Il medico ha detto che senza un’operazione non si sarebbe salvata e ha stimato nel cinquanta per cento le sue possibilità di sopravvivenza, aggiungendo che già superare l’anestesia sarebbe stato un segno incoraggiante. Dai ferri della clinica di Olbia Mammina è uscita viva, ma la sua degenza sarebbe durata per un tempo imprecisato. Ormai aveva rimosso ogni diffidenza verso il contatto con gli umani e cercava addirittura le coccole. Così Maria ha avuto il via libera per andarla a prendere e riportarla a casa. Ma l’ha trovata in condizioni molto peggiori rispetto a quel che pensasse, quindi si è deciso di prolungare la sua permanenza dal veterinario per un’altra giornata. Ma Mammina non ha superato la notte: la mattina dopo ci è stata comunicata la sua morte. Ci siamo rimasti malissimo. Perché i gatti di casa, in questi anni, sono diventati una vera comunità, compagni della nostra vita. Ognuno ha il suo carattere, le sue abitudini, un tratto che lo distingue dagli altri. Perderne uno provoca un dolore vero. Ho seppellito Mammina in un posto vicino casa, mettendo tre pietre sopra la sua tomba di terra, perché non ci si dimentichi di lei. E a quelli che ci prendono per matti, noi che amiamo i gatti, non ho nulla da dire.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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