Malta è un esempio di successo nel campo del turismo archeologico e culturale. Ilaria Montis, archeologa e ideatrice di “Sardegna Sacra”, specializzata in escursioni e visite ai monumenti preistorici, spiega le differenze tra il modello maltese e la situazione in Sardegna.
Al termine di un bellissimo viaggio a Malta focalizzato sulle straordinarie testimonianze preistoriche presenti nelle isole e in particolare sui templi megalitici risalenti al Neolitico, il più antico esempio di architettura in pietra conosciuto archeologicamente, difficile, per noi sardi, non cedere alla tentazione di paragonare, non tanto i siti, ma piuttosto quello che accade laggiù a quello che accade in Sardegna. Tentazione irresistibile, ben palesata dalle continue osservazioni dei miei compagni di viaggio sardi e della differenza di reazione tra questi e i nostri compagni “continentali”. I primi, ammirati ma allo stesso tempo contrariati, i secondi, ammirati e basta, dal grande investimento che i Maltesi hanno fatto sul proprio patrimonio archeologico, finalizzato allo studio, alla tutela conservativa dei siti ma allo stesso tempo alla loro fruizione e comunicazione, ottendendo risultati che lasciano a dir poco a bocca aperta. Tanto più se consideriamo che di questa civiltà unica non si parla nei libri di scuola, nonostante nel panorama del Neolitico mediterraneo e europeo in genere sia stata di fatto una civiltà all’avanguardia nell’architettura e nella statuaria, tralasciando le implicazioni che proprio templi, statue, allestimenti templari e decorazioni figurate lasciano supporre in termini di conquiste tecniche, conoscitive e raffinatezza concettuale. Si potrà obiettare che Malta è una meta turistica molto ambita, con un trend in continua crescita, ma i numeri parlano comunque chiaro ed è significativo esaminarli un momento. Il boom turistico non si discute, ma quello che è notevole è la capacità da parte dei maltesi di convogliare una grande fetta di visitatori pari a più del 50% del totale, nei siti archeologici, nei musei e negli altri siti di interesse storico-culturale, almeno per una visita. Se infatti confrontiamo il numero totale di visitatori registrati nel 2017, che superano i 2,2 milioni, i siti gestiti dall’Heritage Malta, ente pubblico unico che si occupa di gestire tutte le aree archeologiche (http://heritagemalta.org) hanno registrato ben 1,3 milioni di accessi alle aree archeologiche, musei e altri siti di interesse storico-culturale (https://www.guidememalta.com/…/record-number-of-visitors-to…). Chiaramente è probabile che chi è interessato all’archeologia e alla cultura abbia visitato più di un sito, a fronte di chi invece è andato solo al mare. Tuttavia il dato è comunque notevole e invita alla riflessione. Malta infatti smentisce totalmente l’idea, con cui in Sardegna qualcuno ancora si consola, che i siti archeologici siano mete per pochi eletti e non creino ricchezza dal punto di vista economico. A noi sardi questo dà così fastidio forse perché ci sbatte in faccia il fatto che non basta aver siti ben conservati e di enorme valore storico-archeologico perché si crei dal nulla un reale flusso turistico, capace anche di influire positivamente sull’economia regionale. Allora cos’altro serve? I maltesi hanno capito che occorrono investimenti capaci di garantire realmente la conservazione e il costante monitoraggio di beni soggetti a un’inesorabile deterioramento, significativo a questo proposito lo slogan visibile sullo striscione appeso fuori dal Museo di Valletta “Ensuring a future for our past”, portatore di un messaggio che torna in vari modi in tutti i siti gestiti dall’ente: l’importanza di preservare queste testimonianze per i posteri, come ad esempio nel bel video introduttivo alla visita dei templi di Hagar Qim e Mnajdra, laddove si spiega la necessità di coprire i siti con tensostrutture, e nei contenuti multimediali dell’Ipogeo di Hal Saflieni, dove si spiega il perché il numero dei visitatori giornalieri è così strettamente contingentato. I Beni culturali quindi generano introiti economici, ma l’accento è sempre messo sul loro valore culturale e sull’importanza di preservarli, a costo di dover dimuire il numero di visitatori di un sito di primario interesse come l’ipogeo di Hal Saflieni, che potendo ricevere solo 80 visite al giorno, il giorno della nostra visita, il 17 Marzo, esibiva un cartello che avvisava che le prenotazioni sono piene fino al 12 Maggio. La visita a questo gioiello neolitico costa ben 35 euro, che a un sardo, che può vedere gratuitamente migliaia di nuraghi e altri straordinari monumenti preistorici, può far rabbrividire, ma che il sito si vale tutti, non solo per il sito in sé straordinario (ma certamente non meno di numerosi nostri monumenti), ma per la qualità dell’esperienza che viene offerta al visitatore, arricchita di contenuti multimediali all’avanguardia che veicolano contenuti scientifici aggiornatissimi in modo semplice, capaci di coinvolgere il visitatore anche emotivamente e di far comprendere la reale importanza del sito e delle altre testimonianze religiose della Civiltà dei Templi, le cui opere dimostrano una profonda conoscenza della Terra e del Cosmo, puntualmente messa in rilievo e valorizzata da tutta la comunicazione dell’Ipogeo e degli altri siti. Certamente qualcuno obietterà che all’Ipogeo non si possono fare foto, che la visita dura solo un’ora e non si può stare di più, che si è obbligati fare il percorso predefinito e così via. Vorrei ricordare a tutti, che tutto ciò che può apparire un limite alla nostra libertà personale ha a che fare con la preservazione e col rispetto del sito e perché no, anche con la sua “sacralità”. Nei templi maltesi è presente un efficace sistema di sicurezza, con telecamere e addetti alla security, capaci di intimidire al solo sguardo con l’effetto di reprimere sul nascere qualsiasi spavaldo tentativo di azioni fuori luogo. Sono del parere che il rispetto sia la prima cosa da insegnare ai visitatori, cosa che nel mio piccolo considero una priorità nel mio lavoro, e in questo credo proprio che Malta abbia centrato il bersaglio. Non ho mai visto nessuno nemmeno parlare a alta voce o tenere qualsiasi atteggiamento non consono in questi siti, l’aura di sacralità che si respira, i percorsi obbligati, e il dispiegamento del personale addetto alla sicurezza invitano al massimo rispetto senza che ci sia bisogno di dire o fare nulla. Il rispetto naturalmente ha sempre a che fare col concetto di valore. Se non diamo valore a qualcosa non la possiamo nemmeno rispettare. Se diamo valore a un sito, oltre che volerlo visitare, e magari venire da lontano e prenotare mesi prima, siamo anche consapevoli che poterlo visitare e contribuire con il nostro comportamento alla sua conservazione è un privilegio, e allora certi problemi di “libertà” neanche si pongono, passiamo sulle passerelle consapevoli che anche il passaggio dei nostri piedi recherebbe danno. Trovo molto importante invece la possibilità che a Malta viene data a ogni visitatore di poter comprendere il reale valore storico-culturale di un sito, e il suo “messaggio” per noi, il lascito degli antichi, almeno per quel poco che siamo stati in grado di comprendere di questa antica civiltà che millenni fa viveva in armonia con la terra e il cielo. Cosa questa che a Malta è resa possibile da una comunicazione molto efficace: allestimenti presenti in ogni sito, introduttivi alla visita vera e propria, nei quali troviamo oltre ai classici pannelli e plastici, dispositivi “esperienziali” che ci permettono di entrare in contatto coi materiali, audiovisivi semplici e di impatto emotivo, e anche reperti, sia originali (eccezionale a questo proposito l’allestimento che precede la visita del tempio di Ggantjia), sia riproduzioni. La voglia di toccare ciò che non si può toccare, e che giustamente è protetto da vetrine, viene soddisfatta da riproduzioni realizzate a questo scopo con l’invitante scritta “touch me”. Inoltre tutti i siti archeologici maltesi, compresi quelli fuori dai centri urbani, sono efficacemente collegati dai mezzi pubblici, oltre che da servizi turistici come i classici Bus sightseeing Hop-on Hop-off presenti anche nell’isola minore di Gozo. Insomma a Malta hanno capito che la comunicazione oggi si fa a 360 gradi, e che farla in questi termini (semplici, accessibili a tutti, emozionanti, che coinvolgono tutti i sensi) non esclude affatto, anzi valorizza l’aspetto strettamente scientifico. Esemplare a questo proposito la sala del Museo di Valletta, interamente dedicata agli studi e ricerche più recenti, che spiega al visitatore tutte le più moderne tecniche di indagine applicate nelle ricerche archeologiche sui siti maltesi, illustrando i casi concreti: dai metodi di datazione, all’analisi pollinica, all’analisi delle ossa e dei reperti. A Malta ci sono circa 30 templi megalitici noti, dei quali i 6 meglio conservati, a cui si aggiunge l’Ipogeo di Hal Saflieni per un totale di 7 siti preistorici della Civiltà dei Templi sono tutti riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’Umanità. Un riconoscimento importante che contribuisce al prestigio e all’appeal che questi siti hanno per i visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Non è un caso che in Sardegna il sito di Barumini, unico sito in Sardegna iscritto all’elenco del patrimonio dell’Umanità UNESCO quest’anno abbia sfiorato da solo le 90000 presenze, valore in aumento di quasi il 10% rispetto all’anno precedente (http://www.lanuovasardegna.it/…/boom-di-visitatori-nel-2017…) , e che rappresenta oltre il doppio rispetto ad altri siti tra i più famosi e significativi della Sardegna, come il Pozzo di Santa Cristina e il Nuraghe Santu Antine. Senza ovviamente nulla togliere all’ottimo lavoro della Fondazione Barumini Sistema Cultura che gestisce il sito, credo che l’iscrizione del sito di Su Nuraxi all’elenco UNESCO dei siti patrimonio dell’Umanità influisca parecchio sulla percezione che un visitatore ha del sito e sulla motivazione a volerlo visitare. Quello che si percepisce dall’esterno è che questo sito ha qualcosa in più degli altri, mentre sappiamo bene che dal punto di vista dell’interesse strettamente archeologico, della monumentalità e della spettacolarità e del potenziale turistico, parecchi altri nuraghi e altri siti non sono da meno. Certamente l’offerta attuale di Su Nuraxi con l’abbinamento al Polo Museale Casa Zapata e al Centro Giovanni Lilliu vanta un notevole valore aggiunto rispetto alle scarne e ormai datate illustrazioni che troviamo in parecchi tra i più importanti siti in Sardegna. Valore aggiunto che giustifica il costo del biglietto (12 euro) e anche il boom di visitatori. Certamente la vastità e le problematiche complesse dei territori della Sardegna e le sue migliaia di siti non sono paragonabili in termini di problemi di gestione a quelle di Malta con un territorio e un numero di siti di parecchio inferiore e l’intento dell’articolo non è paragonare superficialmente due realtà nettamente diverse. L’intento è invece quello di evidenziare le carte vincenti di un modello che funziona e i cui principi di base sono delle buone pratiche applicabili a qualsiasi sito archeologico su cui si voglia davvero puntare per lo sviluppo di un vero turismo culturale: riconoscimento internazionale e oggettivo dell’unicità, autenticità e valore storico-culturale universale dei monumenti; investimento economico per tutela e servizi; priorità all’aspetto conservativo; attenzione alla comunicazione al grande pubblico delle scelte di tutela e coinvolgimento del visitatore nel monitoraggio delle condizioni “di salute” dei monumenti; comunicazione tempestiva dei risultati delle ricerche; comunicazione che sottolinea l’unicità e l’originalità delle prerogative culturali della civiltà maltese e valorizza le acquisizioni di questa civiltà; attenzione agli aspetti percettivi e emotivi della comunicazione; dare a tutti gli effetti al visitatore l’impressione di fare un’esperienza unica e importante; accessibilità e collegamenti coi mezzi pubblici; collegare i siti tra loro con un sistema efficace di biglietti multipli e materiale informativo presente in ogni punto informazioni; collegamento dei siti archeologici alle altre realtà turistiche. In Sardegna abbiamo un numero imprecisato e quasi incalcolabile di siti archeologici che potrebbe ben aggirarsi attorno ai 10000, con una densità tra le più alte al mondo. È chiaramente impensabile che tutti possano diventare delle mete del turismo internazionale, ne basterebbero anche solo 10 tra i più significativi, pari all’1 per mille, distribuiti in tutta l’isola, per trasformare le sorti del turismo culturale in generale, e archeologico in particolare, in Sardegna. E anche chi teme che i grandi flussi turistici possano rovinare la selvaggia poesia e la pace dei nostri antichi luoghi sacri farebbe senz’altro sonni tranquilli sapendo di poter continuare ancora a lungo a rifugiarsi in quelle migliaia e migliaia di siti che resteranno per sempre mete per pochi intenditori.
Il sito di Sardegna Sacra di Ilaria Montis
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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