Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio dichiara che a lui la tragedia di Marcinelle suggerisce che “non bisogna emigrare”. Il disastro di Marcinelle è accaduto nel 1956, Di Maio è nato trent’anni dopo: chiaro che non ha idea di cosa fosse quell’Italia, l’Italia dei minatori e dei migranti con le valigie di cartone tenute assieme dallo spago. E dunque il leader sul campo dei Cinquestelle arriva a concludere che il male in sé non è la miniera, le sue condizioni di lavoro, i pericoli denunciati ma ignorati. No, il male è l’emigrazione, questa maledetta fissazione che spinge la gente a cercare lavoro dove ce n’è. Di Maio è nato trent’anni dopo Marcinelle e, coerente con questa ignoranza della storia, non dev’essersi posto il problema di capire se tragedie simili siano avvenute anche in Italia. Sì, caro Di Maio, ne sono accadute anche in Italia. Nel maggio del 1954 a Ribolla, in Toscana, esplose una miniera di lignite. Morirono 43 minatori, tutti italiani. Erano i lavoratori del primo turno, la cosiddetta “gita” (che a me rimanda, per assonanza, alla “pacchia” dei migranti). Di Maio non deve aver letto neppure Luciano Bianciardi, uno degli scrittori che ho amato di più negli ultimi anni. Bianciardi era grossetano, la stessa provincia di Ribolla, e prima di scrivere il suo capolavoro “La Vita agra” aveva passato due anni a documentare le condizioni di lavoro dei minatori della Maremma. In qualche modo, aveva previsto quel che sarebbe accaduto, denunciando omissioni e superificialità. Non c’entrava nulla l’emigrazione, a Ribolla come a Marcinelle era il lavoro in miniera ad essere un rischio. Scrive Bianciardi: “…il caposquadra aveva fatto storie: diceva che dopo due giorni senza ventilazione, giù sotto, era pericoloso scendere, bisognava aspettare altre ventiquattro ore, far tirare l’aspiratore a vuoto, perché si scaricassero i gas di accumulo. Insomma pur di non lavorare qualunque pretesto era buono. L’aspiratore nuovo, i gas di accumulo, i fuochi alla discenderia 32 – come se i fuochi non ci fossero sempre, in un banco di lignite. Stavolta era stufo: meno storie, disse ai capisquadra, mandate cinque uomini della squadra antincendio a spegnere i fuochi, ma intanto sotto anche la prima gita. La mattina del giorno dopo la miniera esplose”. Si legga “La vita agra”, signor vicepresidente del Consiglio. Le insegnerà che di miniera si moriva anche in Italia e magari anche a misurare le parole, quando non si sa bene di cosa si parla ma ci sono morti di mezzo. Non tutti i disastri possono essere ridotti ad una questione di confini.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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