I politici dicono le bugie. Che la propensione a mentire sia connaturata all’essenza dell’homo politicus lo hanno stabilito alcuni personaggi interessanti, da Platone a Kant, per dire i più cazzuti; ma senza buttarla in filosofia, anche letterati piuttosto acuti come Jonathan Swift o Mark Twain, restando tra quelli arcinoti la cui saggezza non è messa in discussione né a destra né a sinistra (almeno spero, perché la destra da un po’ di tempo se la togli da Oriana Fallaci non sa più da che parte girarsi). Alla menzogna politica ci siamo tanto abituati che ci ridiamo sopra da mille generazioni. Che è un po’ come se qualcuno sghignazzasse di gusto mentre qualcun altro gli fa un brutto lavoretto da dietro con una pala di fico d’india. Ma tant’è, lo stereotipo dell’uomo politico è quello di quel tale che in non so più quali vecchie elezioni andava in giro per la Sardegna a promettere un ponte sopra il Tirreno che ci avrebbe collegato direttamente con il continente. Eppure penso che nella nostra storia, dall’Unità a oggi, mai il limite della menzogna glorificata a sistema di propaganda politica sia stato innalzato come nel 2015 appena concluso. Rimettendo in ordine certi appunti, riflettevo sulle elezioni politiche del 1948. Fu la propaganda elettorale più violenta dalla caduta del Fascismo ai nostri giorni. E nonostante abbia creato modelli e linguaggi ai quali, con i progressivi adattamenti, si ispirarono uomini e partiti in tutte le successive elezioni, i temi apocalittici e gli insulti sanguinosi tra avversari che caratterizzarono quei giorni, in quel modo non si sono mai ripetuti. Ho rivisto le icone e i temi di quella campagna: l’efficace e astuta volgarità dei manifesti della Dc ideati da Giovannino Guareschi (il comunista “trinariciuto” o lo slogan “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede Stalin no”), quelli cupi e minacciosi, sempre democristiani, ispirati dai cattolici oltranzisti di Gedda, oppure quelli violenti e ultimativi del Fronte popolare costituito da comunisti e socialisti, che davano dei costruttori di guerra a tutti gli avversari. Ma la costante era quella dell’aggressione e del furore, non quella della menzogna. Certo non era vero che i comunisti fossero dei “mostri” e che tutti gli amici degli americani avessero i cannoni pronti, ma più che menzogne erano iperboli, estremismi ideologici, icastici sistemi di persuasione. A esempio, nessuno diceva che la pace, l’accoglienza, la tolleranza, la giustizia sociale, la progressiva abolizione delle barriere tra Stati erano utopie o nemici ideologici da combattere. La competizione, spesso smodata, era semmai sul modo migliore di raggiungere quei fini condivisi da due classi dirigenti che si contendevano il potere. Togliatti non si sarebbe mai sognato di attaccare il suo “mortale” nemico De Gasperi su certe misure economiche o di carattere sociale impopolari ma oggettivamente necessarie per risollevare l’Italia prostrata dal Fascismo e dalla guerra. Così come tre mesi dopo quelle elezioni e la sconfitta del Fronte, quando tentarono di ammazzare il capo dei comunisti a colpi di pistola e sembrò che – tra tentativi di rivoluzione ed esercito e polizia pronti alla controrivoluzione – stesse per scoppiare la guerra civile, De Gasperi e Togliatti agirono oggettivamente di comune accordo. Il messaggio di De Gasperi fu che se dietro a quei colpi di pistola non c’era solo un pazzo ma i servizi americani o comunque una volontà golpista, questa non avrebbe avuto il suo appoggio. E Togliatti, quando Pajetta alla testa dei rivoltosi milanesi gli telefonò entusiasta comunicandogli “Abbiamo preso la prefettura”, gli rispose con la sua acida ironia: “E ora che cosa te ne fai?”. E’ questa la verità. Il fatto che Bartali vincendo il giro di Francia avesse bloccato la rivoluzione spingendo gli italiani a pensare ad altro, è una diffusa balla che vorrebbe oscurare la maturità e la coscienza del personale politico selezionato dalla più grande scuola quadri che l’Italia abbia mai avuto: l’antifascismo. Insomma, il limite invalicabile per la menzogna connaturata all’essenza dell’uomo politico e ai comportamenti irresponsabili, era quello della responsabilità connaturata al ritenersi classe dirigente. Ed è stato un limite varcato in maniera clamorosa in quel 2015 in cui è stata forte, sembra quasi moltiplicata, l’onda del berlusconismo. Anche senza più Berlusconi, o soltanto con un’ombra di quello di che era. Il Cavaliere ha vinto perché più o meno volontariamente ha fatto nascere un sistema culturale in cui la menzogna irresponsabile si identifica con la politica. Si annida maggiormente nella destra e in certe aree dell’antipolitica, ma varca i confini di queste categorie per infiltrarsi sempre più prepotente anche in quel magma che un po’ impropriamente definiamo “sinistra”. Dire che l’ondata migratoria si può arrestare con facili e immediati provvedimenti è una menzogna irresponsabile. Dire che uscire dall’euro avrebbe immediati effetti positivi è una menzogna irresponsabile. Dire che per bloccare i terroristi bisogna chiudere i confini è una menzogna irresponsabile. Dire che la criminalità è in aumento è una menzogna irresponsabile. Dire che questo falso incremento è dovuto agli immigrati è una menzogna irresponsabile. Dire che la libera circolazione delle armi ci aiuterebbe a difenderci dai criminali è una menzogna irresponsabile. Dire che esiste un’ideologia transgender che corrompe gli scolari è una menzogna irresponsabile. Dire che le famiglie omogenitoriali distruggeranno la famiglia è una menzogna irresponsabile. Dire che l’Islam soffocherà le libertà conquistate dalla cultura occidentale è una menzogna irresponsabile. Dire che gli immigrati rubano lavoro ai disoccupati italiani è una menzogna irresponsabile. Andare a manifestare a favore del presepio contro inesistenti tentativi di abolirlo è una menzogna ridicola e irresponsabile. E l’elenco del 2015 potrebbe proseguire con altre centinaia di voci a dimostrazione della più sconsolante delle realtà: non esiste più una vera classe dirigente. Le cause? Alcune sono la crisi dei partiti e la personalizzazione della politica, gli elementi generali di declino quale questa epocale crisi indotta non da carestie e altre cause oggettive ma soprattutto da un’economia in cui la bilancia pende pericolosamente verso la finanza e non verso il lavoro e la produzione che creano ricchezza diffusa. Il risultato è che una parte numerosa e importante della nostra catena di comando è finita nelle mani di gente che ha come unico faro i sondaggi di opinione e che per uno 0,5 per cento in più dice che bisogna riaprire i postriboli e rifondare la prostituzione di Stato. E di questi ultimi ce ne sono a destra come a “sinistra”. Per la maggior parte degli esempi citati, penso che chi dice quelle bugie sappia di mentire. Ritengo a esempio che persino Salvini non ignori che le migrazioni sono un fenomeno epocale da affrontare con misure a lungo termine, invitando soprattutto le popolazioni occidentali a non allarmarsi e ad aiutare i governi a gestire situazioni che il malumore contribuisce soltanto a rendere più difficili. Salvini lo sa, probabilmente. E’ talmente scontato! Ma non gliene frega niente. Conta solo quello 0,5 per cento. E in Sardegna? Terenzio dice: “Sono un essere umano e ritengo che niente di umano mi sia estraneo”. E così noi sardi a mio avviso dovremmo dire che siamo italiani e che nulla di italiano ci è estraneo. E anche un pochino di europeo, magari. Tuttavia la demagogia, la menzogna e la politica fatta all’insegna dei sondaggi di opinione forse si sono infiltrate un po’ meno, nel 2015, rispetto alla media nazionale. Di cazzate populiste anche da noi se ne sono sprecate, e soprattutto sui temi in cui funzionano, quelli che poi vengono moltiplicati da facili e frettolose condivisioni su Facebook: ambiente, servitù militari, trasporti, salute, energia e altri temi sensibili. Tuttavia il livello medio è stato più alto. A esempio la decisione della Regione di mettere in funzione il nuovo treno Cagliari-Sassari pur con tutti i limiti, è stato un atto di antiretorica e di responsabilità politica: l’indubbio miglioramento per tutti i sardi ha pesato nella scelta più delle prevedibili e aspre critiche nei confronti di un collegamento per ora non molto più veloce di quello precedente. Sarebbe stato più semplice attendere il completo rifacimento della linea ferroviaria e inaugurare un treno da subito lesto, ma privandoci della comodità di viaggio che già da ora questa linea può garantirci. Una scelta responsabile non basta certo a farne dimenticare altre quali la discussa riforma del sistema delle autonomie locali o l’aumento delle tasse regionali per cercare fondi che forse potevano trovarsi in buona parte frugando tra gli sprechi indotti dallo storico e trasversale clientelismo della politica locale. Ma questo è un discorso che non ha a che fare con la menzogna e la demagogia. Riguarda altre faccende.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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