11 dicembre 1997: si redige il Protocollo di Kjoto. Semplicemente un trattato internazionale, come tanti altri. Solo che questo riguardava la possibilità per tutti noi di continuare o meno a esistere per qualche annetto ancora. In quella città giapponese 180 Paesi si posero il problema del surriscaldamento globale e quindi del futuro immediato dell’umanità. Si toccò con mano il concetto di Apocalisse, insomma. Eppure ce ne fregammo tutti. Forse per un’idea radicata nell’inconscio collettivo: se davvero tocca a noi, allora siamo spacciati. L’umanità, cioè, se bisogna fare sul serio, è incapace di salvare se stessa. Tutto parte dall’assunto che se supereremo di due gradi la temperatura media dell’era preindustriale, non potremo più tornare indietro. Stando alle previsioni, entro la fine del secolo quella temperatura verrà superata di oltre cinque gradi. Quindi è urgente ridurre le emissioni che provocano il surriscaldamento. Ma anche la conferenza di Parigi in questi giorni dimostra che questo obiettivo non verrà raggiunto con facilità. Basti soltanto pensare alle polemiche tra Paesi in via sviluppo, in qualche modo esonerati dall’obbligo di non uccidere il mondo, e quelli già “sviluppati”, costretti invece a ucciderlo un po’ meno. Io ormai ho un’età per la quale ho già visto un po’ di gente morire intorno a me. Vecchi, soprattutto. Frequento e ho frequentato di solito persone simpatiche che non fanno tanti drammi anche quando arriva il momento di tirare le cuoia. E spero di riuscirci anch’io. Ma una cosa ha accomunato tutti i vecchi che intorno a me se sono andati. Quando arrivava il momento, se ne sbattevano del mondo. Sì, magari cercavano di sistemare le cose, si preoccupavano dei testamenti, davano le ultime raccomandazioni. Ma te ne accorgevi: stavano pensando ad altro. E ci pensavano con un po’ di malinconia. Perché tutti quelli che sino a ora mi sono morti intorno erano uno per uno felicissimi di vivere. Sapete come mi sono accorto che noi non eravamo riusciti a fregare mia madre quando le dicevamo che non era poi così grave? Un giorno, mentre le parlavamo dei nostri figli, i suoi nipotini, anziché riaccendere come al solito gli occhi appannati dalla malattia, lei si mostrò un po’ annoiata. Sa che le manca poco, mi dissi subito. Ecco, paragonate i tempi delle nostre vite a quelli un po’ più lunghi della Terra: è come se ora a decidere sul futuro dell’umanità fosse una folla di moribondi, di gente in discesa, un’umanità pensionata e malinconica che nasconde a stento il proprio pensiero riposto: “Ci penseranno i nostri figli”. Può avere la nostra generazione, che non sa esprimere classe dirigente in grado di gestire il presente, la capacità e soprattutto l’animo di gestire il futuro? L’unica speranza è che i giovani ci mandino a quel paese e che comincino loro a porsi il problema. A capire che le emissioni che provocano l’effetto serra sono nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Nei nostri sprechi, nei nostri lussi e nel nostro egoismo. Persino i soggetti più poveri nella civiltà occidentale, a esempio, sprecano del cibo e provocano una inutile superproduzione di carne e di vegetali, mentre in altre parti del mondo i nostri rifiuti verrebbero considerati dei lussuosi salvavita per milioni di persone. E adesso che le ondate migratorie stanno avvicinando questi mondi diversi, che ci fanno toccare con mano che cosa sia la vera miseria, anziché riflettere ci incazziamo. Se dici che bisognerebbe impedire almeno la pesca da diporto in un mare che la pesca industriale sta finendo di uccidere, ti guardano come fossi un pazzo. Solo i giovani, pensando alla loro pelle e a quella dei loro figli, potranno capire davvero, dentro il cuore e non soltanto leggendolo da qualche parte, che salvare il mondo significa cambiare il sistema produttivo, passare dal carbone e dal petrolio alle energie rinnovabili. Solo i giovani potranno sconvolgere l’artificioso e sporco sistema che vi costringe a usare l’elettricità prodotta dalle turbine a gasolio perché quella dei sistemi fotovoltaici non viene resa conveniente e accessibile a tutti. Solo loro possono avere il coraggio di fare l’unica vera rivoluzione industriale del futuro, quella che salverà la vecchia Terra
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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