La cosa più stupefacente che può svelarsi agli occhi di un ignorante di cose economiche è la cruda realtà dei fatti. Parlo della realtà dei fatti che emerge nei diversi paesi dove la crisi finanziaria importata dagli Stati Uniti, che era una crisi di debito privato, si è trasformata in crisi di debito sovrano e quindi in crisi economica. Parlo della realtà dei fatti che emerge dopo la cura imposta da quelle istituzioni statutariamente nate anche per supportare i paesi in difficoltà e che, invero, si stanno profilando come i loro killer: il FMI, la BCE e la Commissione Europea
La Grecia, in questo contesto, è il paese più debole. E proprio in Grecia è possibile leggere la miseria del fallimento di quelle ricette di politica economica: il paese ha perso il 25% del PIL, la disoccupazione è arrivata al 25%, il reddito medio è diminuito del 30%, il tasso di povertà è passato dal 23 al 40%, un milione di persone non ha copertura sanitaria, il debito pubblico è schizzato al 175%. Leggendo il dramma che alberga dietro e dentro questi dati si può, poco serenamente, dire che il benessere delle persone è drammaticamente peggiorato. La vita delle persone, la qualità del loro intimo vivere, si sta lentamente sciogliendo nell’acido.
La cosa meno stupefacente è invece la strutturale incapacità degli economisti che guidano queste istituzioni, e che elaborano queste ricette di politica economica, di leggere criticamente questi risultati, correggere il tiro, appellarsi a idee differenti per far sì che il benessere degli uomini in carne ed ossa che abitano questi paesi in difficoltà abbia un respiro di sollievo, torni insomma a vedere momenti di luce e non solo nero fosco.
Non è stupefacente perché l’obiettivo di queste persone non è rivolto agli uomini in carne ed ossa ma a numeri, quelli del bilancio statale. Non è stupefacente perché la loro formazione intellettuale pesca in un pozzo delle idee sulla vita delle cose economiche che sono notevolmente distanti da quella vita economica quotidiana vissuta dagli uomini in carne ed ossa, dalle loro miserie, dalle loro speranze e dalle loro capacità.
Nel pozzo, infatti, non pare esista la considerazione, l’idea, che l’economia capitalistica sia “strutturalmente instabile” e incapace di correzione autonoma. Ci si muove sostanzialmente chiedendo agli Stati di liberarsi quanto più possibile di ciò che è pubblico, privatizzando risorse statali, nell’ottica di allargare il Mercato a danno dello Stato perché il secondo ontologicamente inefficiente e il primo ontologicamente efficente e superiore.
Sarà il mercato a regolare autonomamente i cicli e l’andamento di questi cicli – prima o poi (anche nel lungo periodo) – tornerà miracolosamente in equilibrio. Salvo poi che nessuno di questi economisti affezionati alla sintesi neoclassica ora invasa di neolib sono in grado di spiegare perché e come i cicli possono riprendere la loro corsa speculativa fino a riportare tutti sull’orlo del baratro, dentro il baratro, in una depressione o in una lunga stagnazione, come è l’attuale situazione contingente.
E’ che per capire la difficoltà di questi economisti a leggere criticamente i dati sconfortanti che derivano dall’applicazione delle loro ricette e a provare ad inventarsi soluzioni nuove, eterodosse, bisogna comprendere la profondità in cui hanno posto le radici le ragioni antropologiche che disegnano l’uomo economico che hanno assimilato nei loro corsi universitari e, a loro volta (molto probabilmente) insegnato in corsi da loro tenuti con testi da loro scritti.
E quest’uomo economico è un uomo solo in mezzo a tantissimi altri uomini soli, assolutamente razionale, incapace di farsi condizionare nelle sue scelte dalla cultura del contesto in cui si muove o da sentimenti di qualsiasi colore, con a disposizione un volume stupefacente di informazioni per scegliere il meglio, quell’opzione tra le risorse scarse a sua disposizione, che gli garantirà la personale, intima, massima soddisfazione. Che è cosa di intimo egoismo per procurarsi “cose”, “beni” e non stati d’animo. O meglio, lo stato d’animo di benessere nasce eclusivamente dal possesso di quelle cose e non da altro.
Bisogna capirla profondamente questa radice antropologica, questo legame che si vuole “naturale” tra il benessere degli uomini e “le cose” a loro disposizione, per capire con quale assoluta naturalezza questi economisti siano in grado di leggere solo esclusivamente il PIL come unico indicatore del benessere dei tanti cittadini che popolano uno Stato: la somma dei beni prodotti, delle cose prodotte, scambiate e possedute. Perché il PIL altro non è che la trasposizione elegante su un livello macro di un modo molto misero di leggere l’universo di un uomo, il suo benessere o il suo malessere.
E il PIL, per questi economisti, può risollevarsi in buona parte se è il libero gioco del mercato e non lo Stato il soggetto principale della produzione e dello scambio. Perché nell’assoluta ignoranza e povertà antropologica di questi economisti esiste anche un volume di ottimismo quasi infantile, tanto è lontana quella lettura antropologica da qualsiasi legame con le cose vere dell’uomo. E questo infantilismo economicista non solo vuole l’uomo razionale, ma lo vuole anche “onesto”, incapace di fregare il prossimo con modalità opportunistiche.
L’opportunismo, la frode, l’inganno, la malafede, la colpa e il dolo criminale sono difficilmente modellabili in equazione. E quindi non esistono, almeno teoricamente. L’eleganza teorica è più importante della realtà: anche in un mondo storicamente popolato di “bastardi portatori di interessi” capaci di fali valere con la devianza dalle regole, l’economista neoliberale preferisce appellarsi alla teoria, girare la faccia o, come hanno fatto molti “autorevoli” economisti, predicare bene e razzolare male, insegnando spesso l’attore economico razionale della sintesi economica neoclassica nelle aule universitarie e, nello stesso tempo, ricoprire ruoli apicali presso le Isituzioni politiche americane ed europee o lavorare in uno dei più grandi esempi di attore economico “opportunista” di questo capitalismo finanziario, la Goldman Sachs: Henry Paulson, Robert Rubin, Robert Zoellick, Joshua Bolten, Mario Monti, Romano Prodie, infine, Mario Draghi sono solo alcuni tra i nomi più conosciuti che hanno praticato la “porta girevole”.
E sono tutte persone che hanno predicato “più mercato e meno Stato”, ché nei tempi lunghi le cose si aggiustano… Anche se siamo tutti morti, il bilancio sarà in pareggio e, con assoluta eleganza, si continuerà a recitare questa farsa di un’economia pensata, teorizzata, insegnata ed imposta che a nessuno serve, tranne a chi, nel suo intimo e spesso celata carriera, continua ad arricchirsi grazie al dominio di quelle maleodoranti idee.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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