Qualche giorno fa, tra il pubblico sassarese di un dibattito sull’Autonomia, ho trattenuto l’impulso di porre a gran voce dalle ultime file una domanda retorica, di quelle che hanno la risposta in sé. E’ accaduto quando si è parlato dell’esperienza ultima del regionalismo italiano, ricordando che la crisi dell’istituto è avvenuta intorno all’inizio di questo secolo, dopo trent’anni di pratica della riforma. Si cercavano cause nella legge imperfetta, nelle regioni portate a riprodurre peggiorata la pesante burocrazia dello Stato, nei difetti istituzionali, insomma. E volevo chiedere: non sarà che tutte le regioni – compresa la nostra, più antica per la sua specialità di quelle varate negli anni Settanta – sono in crisi perché hanno formato classe dirigente di livello inferiore a quello della politica e della burocrazia centrali? Che il fatto di limitarne i poteri nei momenti critici, come a esempio durante la pandemia, sia stata una difesa spontanea del Paese, che ha affidato l’emergenza allo Stato?Ho trovato risposte talvolta dirette e talvolta oggettive – ma sempre chiare – a questa e a molte altre domande in un impegnativo e importante saggio di Antonello Mattone, storico delle Istituzioni Politiche e tra i maggiori intellettuali sardi. Il titolo rimanda a un’accurata esplorazione che, a un’osservazione superficiale, diresti di carattere quasi soltanto accademico: “Storia delle legislazione speciale per la Sardegna (1896-1914). Origini, sviluppi, aspettative, delusioni” (Edes). Eppure, già alle prime delle 655 pagine – scritte in forma accattivante e tutt’altro che cattedratica – ti accorgi che la disamina di questo passato della nostra specialità forma uno strumento fondamentale per la comprensione del presente, compresi tutti i fallimenti che lo caratterizzano.In sostanza, quella “curiosità di capire in quale momento storico sia maturata l’esigenza di promuovere una legislazione speciale per la Sardegna”, di cui lo storico parla, se uno studioso riesce a soddisfarla, è la strada per capire sino in fondo la Sardegna che adesso viviamo.“Secondo il detto francese del XVI secolo – scrive Mattone nell’introduzione -, Le mort saisit le vif”. Significa “Il morto afferra il vivo”. Una norma feudale all’origine legata più che altro al diritto di successione, ma che poi, specialmente nell’accezione marxiana, ha assunto una valenza metodologica nell’interpretazione della storia. Il passato condiziona il presente: “E non poteva essere diversamente per la Sardegna – commenta l’autore -, una regione in cui le eredità si avvertono, almeno rispetto ad altre province, in modo più intenso e spesso doloroso”.Le due parti nelle quali si divide il libro contribuiscono alla sua esemplare e addirittura paradigmatica chiarezza. La prima individua l’importante ammissione di una specialità sarda e della necessità di apposite leggi da parte dello Stato nelle tre inchieste parlamentari e governative del 1869, 1885 e 1896; la seconda entra nel dettaglio del dibattito nazionale e racconta i tre momenti della legislazione speciale (1897, 1902 e 1907), oltre al confronto su contenuti e strumenti di attuazione, durato sino all’inizio della Grande Guerra.Le leggi “speciali” non sono altro che il riconoscimento da parte dello Stato della peculiarità di un suo pezzo, soprattutto per quanto riguarda la difficoltà a integrarsi nel tutto. Particolarità di carattere geografico, naturalmente, come è evidente di una terra che il mare divide dall’altra terra di cui è parte, ma anche relativa a molti altri aspetti.Il professor Mattone esamina quindi questi interventi nel contesto storico di ciascuno, soprattutto analizzando le inchieste che di volta li hanno preceduti: dai primi interventi dell’ancora giovane Stato unitario negli anni Novanta dell’Ottocento (ma si sofferma anche, e in maniera significativa, sulle origini di questo rapporto nello Stato preunitario, cioè il Regno di Sardegna), sino al Piano di Rinascita del 1962, rifinanziato nel ’66 e nel ’74, quando, contemporaneamente, l’aspetto economico e culturale della Sardegna cambiava con l’arrivo della grande industria assistita.Perché, si chiede lo storico, dopo tanti soldi, tante promesse e progetti sullo sviluppo, restano ancora le carenze denunciate nell’Ottocento?Gli esempi che possono farci capire la storia sono quelli della sua sorella minore, cioè la cronaca. A cominciare da una rete ferroviaria che, in fondo, non si discosta poi tanto da quella costruita negli anni Ottanta del XIX secolo grazie all’intraprendenza del gallese Benjamin Piercy, e che allora fu progresso ma ora è arretratezza; oppure i collegamenti marittimi, criticati come drammaticamente insufficienti allora e adesso. I modelli sono innumerevoli: dalle opere di pianificazione territoriale rimaste sulla carta (non ultime quelle legate al controllo idrogeologico), all’utilizzo dei terreni pubblici per uso civico e al contrasto del terribile fenomeno della desertificazione demografica.Ma ci sono dati che hanno persino un triste elemento di novità, quale il ritardo nelle infrastrutture e nelle opere pubbliche. Se parliamo di ospedali, porti, ferrovie, aeroporti, strade, telecomunicazioni, rete elettrica ecc, siamo all’ultimo posto sul piano nazionale. In particolare per quanto riguarda le strutture sanitarie, carenza che, è quasi inutile rimarcare, riduce a livelli infimi la qualità della vita in Sardegna. C’è dunque, afferma l’autore, “continuità nel corso del tempo dei problemi irrisolti”. E tutto ciò – ferrovie, opere idrauliche, spopolamento, utilizzo del suolo pubblico – dimostra che “nella storia nulla si riproduce identico o rimane uguale, ma le eredità e i segnali del passato possono essere riconosciuti ancor oggi, seppur in forma mutevole e diversa”.Se una soluzione di continuità si può osservare, riguarda purtroppo un aspetto positivo del passato, cioè quel clima di partecipazione dei poteri locali. Parlando dell’attuale periodo decisivo sull’utilizzo dei fondi Pnrr per i prossimi cinque anni, lo storico commenta: “A differenza degli anni 1897-1907, quando i Comuni, le Province, le Camere di Commercio, i Comizi agrari, i parlamentari sardi avevano presentato memoriali, petizioni, proposte concrete e innovative, ora invece la Regione e le rappresentanze politiche locali appaiono inerti, quasi rassegnate nell’incapacità di programmare il futuro”. Si attende cioè che il governo programmi anche per conto nostro “con buona pace dell’eredità e della ‘coscienza’ autonomistica dei sardi”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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