Giocano a palle di neve nel cortile della prigione. Lui sta lì, addossato a un muro, vicino a Pertini. Una palla lo sfiora, si schiaccia contro il muro e dalla neve salta fuori un sasso. “Ecco, i miei compagni volevano farmi male”, mormora Gramsci.
Compagni detenuti.
Lo racconta Pertini.
E se è vero, se è tutto vero, e mi auguro che non lo sia perché tutte le prove di questa infame macchinazione con il cervello a Mosca ancora non ci sono; ma se è vero l’odio diffuso nel partito contro il suo fondatore che però nutriva dubbi sul compagno Stalin; se quell’odio stolido era tanto forte da annichilire l’umana solidarietà tra detenuti politici nella galera fascista, allora continuo a chiedermi: ma quanto ha sofferto il compagno Gramsci?
E me lo chiedo affrontando debolmente il disprezzo di chi Gramsci l’ha studiato davvero e mi dirà che questa è una domanda stupida: “Certo che ha sofferto, ma non è ciò che conta”.
Sono giorni di rievocazioni. Il 21 gennaio del 1921 ci fu la scissione di Livorno del partito socialista, quella da cui nacque il partito comunista.Ho letto e sentito testimonianze fiere: sono e sarò sempre comunista. Altre un po’ così: sono fiero di esserlo stato, ma ora i tempi sono cambiati.
Il mio amico Vindice Lecis ha scritto: “Spiegatemi allora perché non essere comunista quando 62 persone possiedono più ricchezze di 3,6 miliardi di abitanti di questo pianeta?”. Già, che alternative ha inventato il mondo a questo sogno di giustizia dipinto di rosso che ora sembra essersi dissolto? Nessuna, neppure tra i sogni.
E il 22 gennaio del 1891 nacque Gramsci. L’altra rievocazione. E quindi mi chiedo ancora: quanto ha sofferto il compagno Gramsci?
E’ vero che ha conosciuto delle forme di consolazione che a tanti uomini sono state negate. Quella della famiglia in cui è nato, a esempio. Della madre. Alla vigilia della condanna le scrisse: “La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini”.
E poi l’amore della moglie, anche se fu niente più di un breve idillio interrotto dalla repressione fascista; l’affetto della cognata, quello di alcuni amici sinceri, tra cui Pertini.E mi sembra di avere detto più o meno tutto, quando parlo di felicità.Il resto è malattia, povertà, sofferenze frutto della sua coerenza. Ma ditemi se nelle sue pagine trovate un assaggio di queste ferite. Se vi scoprite la depressione cosmica di tanti intellettuali organici poi cresciuti alla sua ombra.
Solo una chiave per capire il mondo e per cambiarlo, trovate in Gramsci.
Ma tutto questo soffrire è niente rispetto a quel giorno che Pasolini, davanti alle sue ceneri, gli disse: “Progettavi il nostro ideale per illuminare il nostro presente (ma non sarà per noi, morti come te nel cimitero)”.
Chissà se ha sentito. Ma se ha sentito, quella volta, deve avere sofferto davvero.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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