La canzone di Edoardo Bennato, del 1973, mi porta ad una piccola considerazione sullo stato dei trasporti in Sardegna. Il treno l’ho usato negli anni settanta per recarmi all’università da Alghero a Sassari. Ci metteva quasi un’ora e effettuava molte fermate contemplative: nel senso che, difficilmente, a San Giorgio o Molafà saliva o scendeva qualcuno. Era un andare lento ed utile per ripassare sui libri, prima degli esami. Ho poi utilizzato il treno per raggiungere qualche volta Olbia, l’isola bianca, dove si arrivava vicino alla nave (non so neppure se oggi il treno percorre lo stesso tragitto e se arriva ancora davanti alla banchina). Da Sassari occorrevano almeno tre ore e, successivamente, otto ore di nave. Era il viaggio per antonomasia. Attendo, ormai da quasi otto anni, il treno “pendolino” che da Cagliari dovrebbe riportarmi a Sassari in due ore circa. Ho soppesato quel circa nel corso degli anni. Con Soru, che aveva voluto fortemente il nuovo mezzo di locomozione, era “meno di due ore”. Con Cappellacci il treno era addirittura sparito e con Pigliaru quel treno ha cominciato a viaggiare virtualmente: ci metterà circa due ore e cinque minuti, poi passate a circa due ore e trenta, infine quasi tre ore. Il problema è la ferrovia. Abbiamo acquistato una Ferrari ma vogliamo farla correre su una mulattiera. Eppure, a ben vedere, il treno poteva e doveva essere il mezzo di trasporto più veloce e sicuro, in un’isola ormai svuotata di tutto e dove la ferrovia poteva rappresentare “il viaggio” dentro una terra aspra e forte. Niente. Quel treno, che disegnava il futuro si è fermato e non parte. Ci restano soltanto le note della Canzone di Bennato con un testo semplice e chiaro ma che a noi non serve. Quel treno, purtroppo non ci porterà lontano e noi, seduti sulla soglia delle occasioni perdute ci chiederemo “Ma quando arrivi treno?”
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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