Caro Francesco, io sono convinto che se quel giorno mia figlia avesse detto ai suoi colleghi studenti fiorentini che tutti i giorni mangiamo bacche di mirto e solo la domenica ci concediamo un po’ di pecora bollita, loro ci avrebbero creduto. Quel tale che ti ha messo KO chiedendoti se in Sardegna abbiamo internet deve avere un sacco di amici nella facoltà di Lettere di Firenze, dove la mia piccola matricola si presentò un paio di anni fa piena di speranze e di sicurezze. Tra queste ultime quella che senz’altro avrebbe trovato un mondo più aperto, stimolante e informato di quello che lasciava. La sua prima lezione è di Latino, non ricordo se lingua o letteratura. Va un po’ prima per conoscere i colleghi. Ce n’è già qualcuno, tutti toscani. Uno nota questa ragazzina sconosciuta e le si avvicina sorridente. Lei si aspetta un “ciao, benvenuta, come ti chiami?”. E invece si sente chiedere, come se si stesse proseguendo un discorso già cominciato: “E tu quanto hai preso alla maturità?”. Lei inquadra subito il gruppo: piuttosto, diciamo, “competitivo”, anche se lei ha usato una parola per la quale sono stato costretto a rimproverarla. Comunque tenta di farli di ragionare e risponde alla domanda tendendogli la mano e dicendo: “Piacere, io mi chiamo Miriam”. Come a dire: non hai dimenticato qualcosa prima di entrare nelle camere di mezzo? Quello non capisce la presa per il culo neanche alla lontana. Arrivano altri, le chiedono se è siciliana o qualcosa del genere. E la piccola ha un’altra delusione, perché credeva che tra Elisabetta Canalis, Enrico Berlinguer, Antonio e Mario Segni, Francesco Cossiga, Tiberio Murgia e Renato Soru, il suo accento godesse di un certa popolarità. Le ho spiegato che a fare casino forse è stato proprio Tiberio Murgia, che lo doppiavano in siciliano. “No, babbo: è che quelli erano proprio dei …” e giù un giudizio sui colleghi che le è costato un’altra sgridata. Comunque, inizia e finisce la lezione e gli studenti si rivedono per formare gruppi di studio. La sardignola viene ora guardata con un senso di decisa e umana comprensione per la sua debolezza razziale. Tutta gente umana, disposta a integrare, in fondo siamo nella città di Renzi, ma non è che la pastorella possa aspettarsi troppo. Lei se ne accorge e decide di riflettere un poco prima di unirsi all’ uno o all’altro gruppo. Accampa scuse, dice che è stanca, va a casa a riposarsi, se ne parla domani: “Sapete – spiega con un sorriso -, sono appena arrivata e ho il jet lag”. Quelli la guardano partecipi, uno chiede: “Ora non mi ricordo, quanto è la differenza di fuso?”. “Solo un paio d’ore – li informa lei – Ma sono bastate per mettermi a terra”. Da quel giorno è entrata in facoltà a testa china e senza guardare nessuno in faccia, secondo la migliore iconografia sardo-siciliana. Per accontentarli ha anche tentato di farsi crescere i baffi, ma non le venivano. Alla fine ha preferito cambiare città.
PS. Siccome questa cosa forse va su internet, perché Francesco mi assicura che in Sardegna è arrivato, e su internet circolano anche molti lettori superficiali e impulsivi (mia figlia avrebbe detto coglioni e io l’avrei sgridata), meglio chiarire che non voglio dire che questo è “Ciò che si dice della Sardegna” , come commentava al Gazzettino Sardo, e che i continentali sono tutti così. Ce n’è qualcuno, però. Come ce n’è tra di noi. E il fatto di non fare il nostro dovere quando ce lo chiedono anziché lamentarci come agnellini scelti otto giorni prima di Natale (e mi riferisco a una questione di criminali che possono essere ospitati dappertutto meno che da noi), questo fatto, dicevo, non è che ci aiuti molto.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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