Dovreste vederla e ascoltarla, almeno una volta, Chiara Vigo per capire cosa significhi davvero e quanto sia importante il patrimonio immateriale. È come trovarsi di fronte l’ultimo sciamano, il custode di un’arte che non può prescindere dalla liturgia (nel senso di servizio al pubblico) e dalla sacralità, dall’eredità tramandata con pazienza, rigore e disciplina.
Chiara Vigo lavora il bisso. Ed è perfettamente inutile descrivere il bisso come “una sorta di seta naturale marina ottenuta dai filamenti secreti” dalla pinna nobilis. Inutile perché il bisso occorre vederlo per capire di cosa realmente si tratti, tenerlo sul palmo della mano per valutarne la leggerezza, osservarlo assorbire la luce e diventare oro. E ascoltare con quale rispetto viene raccolto, lavorato e infine donato, mai venduto. Mancando la vendita, salta il concetto di commercio. Resta il baratto, antica forma di interscambio ad ampio spettro che dona altro tipo di ricchezza, valori che nessuna banca potrà mai custodire se non quella della memoria. “Che vengano qui e imparino da noi, quelli dell’Unione europea”. Forse la rivoluzione si nasconde nelle pieghe del tempo.
Chiara Vigo vive a Sant’Antioco, dove ha una stanza che tutti possono visitare. Non si paga. Chi vuole lascia qualcosa. Forse non è esattamente un museo come lo si intende comunemente; in fondo, il vero museo è proprio lei. Ma è di certo un laboratorio di saperi preziosi che rischiano di andare perduti. Teniamocelo stretto, sapendo che è tanto bello quanto fragile e leggero. Come un filo di bisso.
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