Quando le salite diventano impossibili, serpenti che nascondono la testa e la coda, quando il nero è il colore che disegna l’orizzonte, quando le parole non ci sono e le tasche sono colme di silenzi, quando anche l’attimo si ribella e squarcia il vuoto, quando il destino bussa alla tua porta e dice: “Andiamo, non ti preoccupare”, tu provi a rispondere goffamente che occorre attendere un momento. Un momento solo. Ma lui è sull’uscio della vita, pronto a raggranellare gli ultimi ricordi e a restituirti tutto quello che avevi fatto in soli 37 anni, che non sono molti. Meglio, non sono niente e di quel niente provi a riempire lo zaino e scopri che è vuoto, terribilmente vuoto ma deve rimanere così, sgonfio, come la vita che saluta, come quella salita che non porta alla discesa, come quell’ultimo chilometro che non è la vittoria della tappa, ma la meta finale. In quell’ultimo momento saranno passati i giorni del giro d’Italia, vinto nel 2011, sarà passata la voglia di riprovarci da capitano dell’Astana perché Fabio Aru si era preso un momento di pausa, altro destino che decide, altre strade che si fermano. Così è morto Michele Scarponi ciclista simpatico e amato da tutta la carovana del Giro d’Italia che tra qualche giorno partirà dalla nostra terra: senza Aru e senza, soprattutto, Michele Scarponi. Un giro con meno colori, con troppe curve e con zaini pesanti. Difficile comprendere perché si muore a 37 anni con una bici su una strada: forse per amore, per passione. Oggi è un giorno triste e la salita non finisce ed è dura da affrontare. Molto dura senza Michele.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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