Pasquetta da McDonald’s. E’ la mattina della scampagnata, ma io sono in via Torre Tonda, virtualmente passeggio sul camminamento di ronda delle mura di Sassari che però non ci sono più da un sacco di tempo. C’è una mamma che corre con due bambini verso la fermata Atp dove un mezzo già rulla con la prua su Predda Niedda. Uno dei bimbi esita capriccioso e la mamma intima: “Sbrigati! Se perdiamo l’autobus, McDonald’s te lo sogni”. E la minaccia funziona. E allora mi viene da pensare a Luigi Di Maio e alla sua polemica sull’apertura festiva nei grandi centri commerciali. Non penso a questioni sindacali e alle serenità domenicali perdute nelle famiglie del mondo del commercio. Ma rifletto su questa periferia zeppa di negozi che uccide il centro della mia città. Il rapporto tra abitanti e superficie commerciale concessa in aree extraurbane è a Sassari tra i più alti in Italia. E’ polemica vecchia, quasi antica ormai, ed è scontato farne discendere lo spopolamento del nostro centro storico. Ma quel bambino terrorizzato dalla possibilità di perdere il bus per McDonald’s nella mattina di Pasquetta mi fa riflettere su quanto questo processo di abbandono sia meno scontato e più pervasivo del semplice richiamo consumistico operato dai grandi centri commerciali. E mi chiedo: se è ancora l’era dei McDonald’s e di tutto il loro mondo, perché non è possibile offrirli a quel bambino entro le mura della sua città? Un imprenditore venuto da Cagliari, dove evidentemente esiste una vivacità di pensiero dimenticata nella mia città, ha investito un mucchio di soldi per trasformare il vecchio cinema Moderno, in pieno centro storico, in una multisala. Cioè un efficace prodotto dell’attuale industria dello spettacolo che normalmente fa parte delle periferie urbane o delle aree commerciali extraurbane. Ma questo imprenditore ha voluto scommettere su una possibile sinergia con altri poli di attrazione presenti in quella zona interna alla città, nel tentativo di formare un circuito che premierà il suo investimento e insieme il tentativo di ridare vita a un pezzo importante di Sassari. Quindi è possibile opporsi a questa implacabile avanzata della città fantasma, con i negozi che chiudono e le case vuote che vanno in rovina. E’ un processo cominciato, impalpabilmente, prima dei centri commerciali, ma che ha assunto in poco tempo proporzioni enormi quando queste simulazioni di città collocate fuori dalla città, dove è facile posteggiare l’auto, sono cresciute all’improvviso. E mi chiedo quindi se queste città delle bambole dove si gira da un negozio all’altro senza che la pioggia ci bagni o il sole ci scaldi la testa, sia causa o soltanto concausa dell’abbandono del nostro centro storico, uno dei più belli d’Italia anche se i sassaresi non ci crederanno mai. Me lo disse una volta l’architetto Pierluigi Cervellati, uno dei maggiori esperti europei di riqualificazione urbana: “Voi siete pazzi a lasciare decadere una simile meraviglia, così miracolosamente lasciata intatta dai bombardamenti e dagli sventramenti. Ma pensate che in Italia ce ne siano molti così?”. E da qualche anno purtroppo l’ultima tappa dell’abbandono è la ricerca del parcheggio senza soluzione di continuità con il negozio, lasciando l’uso pieno di gran parte del centro storico a immigrati che lo stanno abitando e tenendo in piedi, dando tra l’altro luogo a un diffuso fenomeno di integrazione con i sassaresi. Ma non basta prendersela con i centri commerciali se si vuole tornare a riempire il nucleo urbano. Bisogna ragionare certamente su certe oceaniche ed esiziali concessioni extraurbane, ma anche pensare ai piani di recupero che non ci sono stati, ai finanziamenti pubblici, specialmente europei, lasciati perdere, a certe norme urbanistiche ed edilizie generali poco attente alle necessità pratiche di questo difficile processo di riabitazione, alla scarsa cultura del recupero nell’imprenditoria locale, dove soltanto pochi studi di architettura sono in grado di dirigere interventi su strutture così delicate sul piano fisico e su quello culturale. Noi siamo bravi a osservare con fiero cipiglio, nel pieno cuore della città, certe finestre di alluminio o alcune verandine dal tetto di ondulina, tutta roba che puzza di abuso edilizio. Ma simili piccoli sconci sono un prezzo che bisogna pagare a questi eroi di tutti i giorni, sassaresi storici e immigrati a Sassari, che per mille motivi resistono in quei quartieri e ne rallentano la morte. Quella microscopica veranda è uno spazio vitale dove collocare una cucina o un servizio. E quelle finestre sono tutto ciò che ci si poteva permettere quando la vecchia finestra culturalmente corretta ha esalato l’ultimo respiro diventando polvere sotto l’ennesimo tentativo di restauro. Se vogliamo vedere rivivere quel pezzo di città da cui tutta la città è nata, non bastano una legge o un sindaco. Sarà un lavoro complicato al quale dovranno partecipare architetti, urbanisti e storici, ma anche gli abitanti del centro storico e tutti coloro che aspirano a diventare tali, oltre ai commercianti e naturalmente alla classe politica. Ora si fugge dal centro storico non soltanto perché attirati dall’impero culturale del consumismo, ma anche per sfuggire a tutti i disagi dell’abitare in case vecchie che è difficile e costoso ristrutturare. Ed è il caso di cominciare a lavorare in questo senso, perché ho idea che tra qualche anno certi ritorni diventeranno naturali, quando le Disneyland di plastica che circondano la nostra città cominceranno a perdere attrattiva. Il nostro centro storico in un migliaio di anni di onorata carriera può avere degli alti e dei bassi, ma non è pensabile che i suoi pallidi imitatori potranno vantare una simile storia. Prima di tutto ci sono dati nazionali che inducono a pensare a un timido ma costante ritorno al commercio al dettaglio rispetto alla grande distribuzione. Sempre a livello nazionale si nota infatti che la saturazione del territorio con i grandi capannoni sta provocando una diminuzione della redditività, considerato anche l’alto costo di gestione. La stessa offerta di prodotti sta diventando meno differenziata. E inoltre il perdurare della crisi economica toglie un po’ di mordente a uno degli elementi vincenti della grande distribuzione, cioè lo shop-entertainment, l’acquisto sommato al divertimento. Immagino che se questa tendenza si avverte in tutto il Paese, qualcosa di simile possa accadere anche a Sassari. Tanto più in un contesto regionale dove la concentrazione di attività nella Città Metropolitana di Cagliari fa correre all’isola il rischio di una desertificazione che potrebbe spingersi sino alle città commerciali delle altre periferie urbane. Credo comunque che il centro commerciale sarà ancora a lungo vincente sul piano della concorrenza qui e altrove con il suo essere finto centro cittadino ma con parcheggi a disposizione. E a proposito di parcheggi , fate questo esperimento. Posteggiate la vostra auto in un centro commerciale e contate i passi a piedi che farete per raggiungere i punti vendita che vi interessano. Poi tornate in città e fate la stessa cosa dopo avere posteggiato in uno dei parcheggi interrati di Piazza Fiume, dell’Emiciclo Garibaldi o del Mercato, o in uno dei numerosi stalli di Piazza Mazzotti, viale Umberto o via Roma. Vi accorgerete che le distanze non sono poi troppo differenti.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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