E pensa un poco che nel 1872 i sassaresi hanno cominciato a viaggiare in treno. No è buccia di ciogga. Fanno questa “prova di locomotiva” sulla linea Sassari-Porto Torres con generici “risultati soddisfacenti”, così dicono gli annali, ma testimonianze d’epoca riportano di un accesso motorio compulsivo del vapore che andava e tornava continuamente costringendo per giorni e giorni i macchinisti collaudatori a saltare dal treno in movimento per mangiare qualcosa e soddisfare i bisogni corporali, mentre i sostituti inseguivano il mostro d’acciaio impazzito lusingandolo con richiami deferenti e garbati. -E non ti feimi? La megliu bagassa ca t’ha criaddu! E mettendo a repentaglio la loro incolumità balzavano agilmente sul predellino della macchina in corsa per impossessarsi delle leve di comando. Finalmente la locomotiva si decise a effettuare una sosta in questo suo va e vieni che il grande Luigi Canepa musicò creando il lyrisches lied cavallo di battaglia di generazioni di tenori di tutto il mondo E lu trenu di Porthutorra anda e torra anda e torra. E dopo questa sosta ci fu l’inaugurazione ufficiale della linea. Una festa che non vi dico! Pensate che sul treno salì al completo la banda musicale che era stata fondata poco prima sempre dal maestro Luigi Canepa che non aveva un cazzo d’altro da fare e non so se durante il viaggio abbia eseguito anche la nota composizione. All’arrivo a Porto Torres, grande corteo sino alla Basilica dei Martiri Turritani, dove venne celebrato un Te Deum di ringraziamento durante il quale si diede atto al Signore di avere impedito che Cagliari si fottesse anche i soldi per quello straccio di linea ferroviaria. E comunque, a proposito di Cagliari, il 1 luglio del 1880 si inaugurò la linea che univa Sassari alla cappittalle, linea che mostrò subito le caratteristiche che tuttora conserva. Prima delle quali, circa dodici ore per la percorrenza completa della tratta. Io durante un Sassari-Cagliari mi preparai un intero esame di Storia Moderna stupendo la professoressa per la mia minuziosa conoscenza dell’assetto dell’Europa in seguito alla Pace di Utrecht. Ebbi 30. Devo dire però che quel giorno vi furono alcuni ritardi a Chilivani e Giave e quindi il viaggio durò più del solito. Altra caratteristica, abbigliamento a buccia di cipolla, a strati. Parti che c’è un po’ di freddino ma cerchi di tenere il finestrino socchiuso perché il riscaldamento centrale ha un fiaggu sospetto che ti fa pensare a un passaggio dei tubi nelle ritirate. Allora si chiamavano così, “ritirate”, con la levetta-serratura che all’esterno della porta faceva comparire le scritte “libero”, in verde, e “occupato”, in rosso. Quel meccanismo mi ha affascinato per molti anni e più volte ho tentato di fotterne uno con attrezzi appositi. Non ci sono mai riuscito. Insomma, questo freddino che durava sino a dopo Chilivani a poco a poco si stemperava e a Oristano cominciavi a toglierti roba di dosso sino ad arrivare a Cagliari dove scendevi dalle parti di via Roma in mutande e canottiera. E a proposito di ritirate, che era un nome suggestivo che ricordava Caporetto, un imperativo degli esperti viaggiatori di quella linea era la preghiera alla partenza perché Gesù ci evitasse lo stimolo a bisogni grandi durante il viaggio, limitandosi solo a quelli piccoli in cui si poteva stare in piedi. Il rischio di dovere consumare soste impegnative in quelle ritirate spingeva a osservare prima della partenza una dieta povera di legumi e di latticini. Ma se nonostante queste misure prudenziali accadeva qualcosa, l’unica soluzione era quella di denudarsi completamente per evitare il contatto degli indumenti con qualsiasi parte della angusta cabina, involgendo il tutto in carta spessa che formava un pacco da poggiare sul lavandino. Dovevi tenere addosso soltanto le scarpe con le quali montavi sui bordi della tazza e qui ti tenevi in equilibrio con le ginocchia leggermente flesse tra gli scossoni del treno. C’è da dire che alle volte prima di concludere tutti questi preparativi ti cagavi addosso. Nel 1881, appena un anno dopo l’inaugurazione della linea per Cagliari e nove anni dopo quella per Porto Torres, quando già molti sassaresi, a proposito di quest’ultima, si ponevano un angoscioso interrogativo: “Ma abà chi v’è la linea, eu cosa cazzu v’andu a fa’ a Porthutorra?”, insomma, nel 1881 il Comune di Sassari e la Società delle Ferrovie Reali fecero un accordo per costruire la Stazione. Che pressappoco è ancora quella che c’è ora, bella devo dire scherzi a parte, anche se purtroppo è scomparsa la grande tettoia metallica che rendeva il tutto molto liberty e che ha originato la fortuna della dinastia di uno storico imprenditore del ferrovecchio. Circolano leggende che parlano di residui di questa tettoia per anni e anni ricomparsi nei luoghi più inusitati: gazebo di giardini privati, protesi di mutilati della Grande Guerra, la Gabbia di Sechi (una balla quest’ultima perché posso testimoniare che l’intera gabbia di Sechi è custodita nello studio di via Roma di un noto avvocato). Insomma, se dopo il montaggio di uno specchietto retrovisore della Panda preso a seconda mano da quel ferrovecchio vi trovate un fregio circonvoluto, sappiate che viaggiate con un pezzo di tettoia della Stazione. Un’importane appendice della Stazione è stato per anni il passaggio a livello di Porta Sant’Antonio, alle cui sbarre si affacciavano per vomitare sui binari i clienti sbattuti fuori a calci in culo da Beniamino Oggiano, che gestiva una fiorente bettola nello spiazzo prospiciente, dove poi sorgerà il Giusy Hotel. Beniamino Oggiano, sennorese inurbato (accudiddu), era un uomo giusto e severo. Lu vindioru era enorme, decine e decine di tavoli, credo il più grande di Sassari. E anche lu vindioru nel senso del gerente, era enorme. A tarda sera, quando bisognava cominciare a chiudere, la signora Oggiano avvicinava i clienti più irriducibili e mormorava loro: “Aiò, pesadinni, sinnò mi tocca a ciamà a Beniamino”. La minaccia per i più era sufficiente, ma la minoranza abbrutita che insisteva sul tavolo e sulla panca a surragare, veniva trattata personalmente dal padrone. Alcuni, dopo essersi ripresi, risalivano faticosamente il Corso sino al bar Murgia, ancora aperto. Il signor Murgia aveva escogitato un geniale espediente per vendere le paste rimaste dalla giornata che avrebbe dovuto buttare via. Quando arrivano gli avanzi d’uomo sbattuti fuori da Beniamino e gli chiedevano -Una tazzitta, signo’ Mu’” lui rispondeva -No ti doggu nudda, chi sei già imbriagu che la fezza. -E dogghiamila una tazzitta, signo’ Mu’. Allora lui, fingendo di cedere -E ti la doggu, ma primma magnadi dui e tre diplumatighi chi sinnò ti fazzi mari a isthogamu biodu. Il passaggio a livello di Porta Sant’Antonio venne abolito quando si costruì il viadotto che unisce Corso Trinità a quello che all’epoca veniva chiamato lo Stradone di Porto Torres. Lo spostamento di traffico rese inutile il passaggio a livello e al suo posto venne costruito l’ex Albergo Turritania. Dice, quando l’hanno fatto sarà stato albergo e non ex albergo. Non credo, io l’ho sempre conosciuto come “ex albergo Turritania”. Credo che in realtà non abbia mai vissuto un’esperienza vera e propria di albergo, con tanto di clienti, prenotazioni, reception e tutte quelle cose lì. E poi lo vogliono sempre demolire. E’ l’edificio sassarese più demolendo. Lui, l’ex albergo, è sempre con la mani sulle palle a scopo apotropaico perché ogni tanto qualcuno se ne alza e dice -Demoliamo l’ex Albergo Turritania! Lo volevamo demolire quando era ancora in costruzione. Un gruppo di estremisti alla fine degli anni Quaranta ne propose la demolizione prima che venisse costruito. E farebbero male perché ormai quel pezzo di città, la città della Stazione, uno dei più bei pezzi di Sassari, è così e lasciamolo così.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.018 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design